La mia meta
Scrisse nell’ottobre 2002: Io lo so, mio Dio, che tutto quello che mi accade è volontà tua su di me. Quattro anni dopo, Hara Kim, 26 anni, muore in un incidente stradale. Le sue parole, appuntate sul diario, risuonano intense. Nel capodanno del 2003, ancora in una pagina del suo diario profetico, scriveva: Chiedo a Dio che mi aiuti ad amare di più i miei prossimi, specialmente quando si avvicinerà la morte, per amare di più e morire amando. Chiedo anche la forza… e la grazia di mettere Dio al primo posto, sempre, così che diventi Dio la meta della mia vita. A Toronto c’era anche Hara, all’incontro degli amici del focolare. Molti avevano notato il suo sorriso raggiante. Tanto che, quando si sparse la voce del tragico incidente, pur nello shock dell’improvvisa scomparsa, nessuno ebbe dubbi: la sua morte era parte del piano d’amore di Dio per lei. La sento vicina, c’è, diceva ad esempio Marigen. E con emozione, Eun Sung, soprannominato Sam, suo fratello, il giorno dopo l’incidente, scoprì un regalo in camera sua. Era di Hara: una crema per il viso accompagnata da un bigliettino con le istruzioni per l’uso. Come faceva lei a sapere di questa sua necessità? Hara era una giovane vicina ai Focolari. Nata a Seoul, a 13 anni si era trasferita con tutta la famiglia in Canada. Nella vita con le amiche del movimento, aveva manifestato una particolare predisposizione per la comunione di beni. Era bastato aver sentito parlare di un Progetto Africa, una raccolta di soldi per le necessità di una popolazione dell’Africa sub-sahariana, che subito apparve sul banco della pizzeria gestita dai genitori una cassetta per raccogliere qualche soldino: neanche un centesimo poteva andare perso! Persino il giorno dell’incidente era arrivata all’incontro di Toronto con il suo personale contributo per aiutare altri giovani che avevano meno disponibilità di denaro a parteciparvi. Chi l’ha conosciuta la ricorda così: tesa a vivere per gli altri, sempre a irradiare la bellezza più profonda che possedeva, quella della scelta di Dio. Bastava un cenno del capo per rassicurare chi le stava accanto: poteva sempre contare su di lei. Oppure una telefonata, una stretta di mmano. Hara c’era. Era tornata in Corea nell’estate del 2005, per un anno e mezzo. Ritornare nella sua terra, immergersi nella sua cultura fu per Hara un motivo di crescita. Insegna inglese in un campo estivo. Sleiman Dias, che pure insegnava, scrive Finito il campo estivo, i ragazzi sono scoppiati a piangere, cosa non molto comune in Corea, perché Hara s’era fatta amica di tutti, ad uno ad uno. Il suo era solo amore, direi amore puro. E ciò valeva molto di più dei tanti anni di esperienza che io avevo accumulato. È Dio la mia meta, non la carriera – scriveva allora nel suo diario -. Questi studi in Corea sono per amarti; voglio che sia così, perché tu sei la verita. Si laurea in Scienze sociali e si iscrive all’Università di Windsor, dove si era nel frattempo trasferita, per conseguire l’abilitazione all’insegnamento. Dice oggi di lei Pat Rogers, preside della facoltà di pedagogia: Hara è stata poco fra noi.Ma ha toccato il cuore di tanti. E Don Robert Bullbrook, parroco di St.Joseph’s ad Acton: Era veramente una giovane che voleva vivere in simbiosi col Cristo sofferente, era una innamorata di Dio. Ha sempre cercato di custodire i giovani attorno a lei, amandoli in modo esclusivo. Scrive nel dicembre 2002: L’unica cosa da fare è amare. Fa’ quello che puoi, ma con amore.