La mia avventura a Città nuova

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Era il maggio del 1965 quando, per la prima volta, misi piede a Città nuova. Dopo una sosta di qualche mese a Loppiano nel Valdarno, dove la prima cittadella del Movimento dei focolari era tutto un cantiere, mi era stato proposto di lavorare a Roma. Qui stava prendendo corpo un’altra città, nella forma di una casa editrice che disponeva già di una tipografia. Sfornava libri a ritmo sostenuto e pure una rivista quindicinale il cui stesso nome era un programma: Città nuova. Il movimento, in quegli anni, si stava espandendo rapidamente in Italia e nei continenti, ed era prassi frequente, prima di avventurarsi lontano, quella di trascorrere un periodo di apprendistato per conoscere meglio anche le attività editoriali. Non fu però una breve sosta la mia, perché a Città nuova sarei rimasto a lungo. Fino ad oggi. Ciò che mi toccò in sorte in questi più di quarant’anni di solo apparente stabilità, non sarebbe stato comunque meno avventuroso, meno imprevedibile, meno affascinante. Dapprima acquistai esperienza nei diversi settori dell’azienda, dalla tipografia alla grafica editoriale, dalla pubblicità all’aspetto commerciale. Alla rivista entrai solo dopo qualche tempo come grafico, pur continuando a fare un po’ di tutto. Alla fine anche il giornalista. Sarebbe davvero riduttivo, tuttavia, se limitassi la descrizione di questo percorso soltanto all’aspetto tecnico della professione. L’avventura vera a Cittànuova è stata infatti quella di entrare a far parte di una grande famiglia dove l’apprendimento della stessa professione era ed è frutto di una scuola di vita. Le diverse sezioni di questa scuola erano affidate a persone che molti dei nostri lettori hanno conosciuto, perché hanno firmato per anni le pagine più significative della rivista. A cominciare da Chiara Lubich, alla quale si deve la prima ispirazione che ha dato vita a Città nuova e che, nel corso di questo cinquantennio, ne ha dettato la linea editoriale, e sostanziato di sapienza ogni numero con i propri scritti. E poi don Pasquale Foresi, del cui contributo illuminato la rivista ancora oggi si avvale; insieme a non pochi altri, con cui ho percorso tratti più o meno lunghi di questa avventura, da Igino Giordani a Spartaco Lucarini, da Gino Lubich a Piero Pasolini, a Guglielmo Boselli, del quale ho ereditato la scrivania. Non è senza emozione che ricordo questi fratelli maggiori, veri maestri di giornalismo, ma ancor prima maestri di vita. E oltre a questi, ricordo tanti, tantissimi altri che si sono aggiunti per via al drappello. Molti sono ancora ben saldi al loro posto di lavoro. Intendo i redattori, ma anche i numerosissimi collaboratori. Da tutti ho imparato. C’è infine un’altra costellazione che fa parte di questa galassia, affollatissima e luminosa come si conviene alle stelle. Si tratta dei lettori. Pure con loro c’è lo stesso rapporto vitale di reciprocità e di fiducia. Assicurano la nostra indipendenza economica e quindi anche di opinione, ma la loro partecipazione va molto al di là di questo, perché interagiscono vitalmente con la redazione, offrendo suggerimenti e critiche sincere; non di rado partecipando a tutti, su queste stesse pagine, i segreti più intimi del loro vissuto quotidiano: ciò che ha costituito sempre una peculiarità della rivista, forse la più apprezzata. Ecco perché è verso tutti quanti costoro dai primi che mi furono maestri fino all’ultimo lettore che forse raccoglierà domani questo foglio, magari trovato su un sedile di una metropolitana e lo leggerà, che io provo un sentimento forte di riconoscenza. La circostanza mi consente di dire oggi a tutti questo mio grazie, nel momento in cui passo ad altri il testimone della direzione della rivista, pur continuando a offrire la mia collaborazione. Chi mi sostituisce è Michele Zanzucchi, un collega ben noto ai nostri lettori. Non vi sono dubbi che assolverà al nuovo compito con entusiasmo e competenza, coadiuvato da una équipe collaudata e rinforzata con nuovi arrivi. L’avventura continua.

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