La metamorfosi della Fura dels Baus

Nessuna performance acrobatica, né gorgoglii della voce modificata tecnologicamente, né abbrutimenti con effetti speciali come si potrebbe immaginare pensando alla kafkiana trasformazione del giovane Gregor in scarafaggio. Niente di tutto questo troviamo nella versione della compagnia La Fura dels Baus. La loro Metamorfosi spiazza chi era abituato alle provocazioni che hanno reso celebre il gruppo catalano. Pur sempre seducente per l’aspetto multimediale, la loro messinscena punta anzitutto sulla recitazione. Con un occhio cinematografico che, giovandosi di telecamere- spia, porta in primo piano il realismo e trasforma incessantemente il campo visivo con la proiezione anche di un film sulla vita del protagonista, lo spettacolo fa leva su un cubo trasparente manovrato a vista – la stanza-rifugio – e un megaschermo. Ma, come dicevamo, predominano gli attori e la parola. In questa versione Gregor è un impiegato delle ferrovie che sceglie di rintanarsi per scappare dalle pressioni della fami- glia e da quelle del mondo esterno. Lo fa accentuando l’ansia tutta contemporanea, della paura del diverso e della solitudine, del senso di inadeguatezza davanti alle aspettative degli altri. La sua è una fuga deliberata che lo condurrà alla regressione psichica e alla degradazione fisica, mentre i suoi famigliari, dall’iniziale sofferenza passeranno al fastidio e all’indifferenza, culminante nel gesto estremo della madre di ucciderlo. Liberati dall’incubo usciranno per strada spensierati, finalmente normali. Ma rimarrà il senso della mostruosità che alberga non fuori, ma dentro di noi. Ed è eccellente il protagonista Rube Ametilé nel disertare la specie umana pur rimanendo uomo, e facendo apparire tutto il suo malessere interiore.

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