La metamorfosi dei supereroi
Se anche loro cominciano a pensare ai fatti propri, chi ci salverà?
Quando le trasmissioni iniziavano all’ora di pranzo, era il giovedì il giorno dei supereroi. Prima di cena, si veniva presi per mano da Giumbolo, un organismo antropomorfo dall’andatura goffamente ballonzolante. Era lui, assieme ad Alan Ford e Nick Carter («E l’ultimo chiuda la porta»), il simbolo di Supergulp fumetti in tv, il programma di culto che per primo portò sul piccolo schermo la magia delle strisce e delle nuvolette di carta. Ovvio. Niente a che vedere con le meraviglie digitali della Pixar dei tempi nostri. Anzi.
A rivederli oggi, quei paleolitici tentativi di animazione fanno quasi tenerezza, li si ammira come fossero pura archeologia televisiva, centrati come sono su personaggi fissi come mummie del museo egizio, e corredati peraltro da un armamentario di suoni onomatopeici («Splash, bang, bum, clap»). Veri e propri fossili nell’era dei blockbuster in 3D, quelli da guardare inforcando improbabili occhiali rosso-blu, avendo la sensazione di stringere la mano a Shrek.
Fu però proprio quello spazio rassicurante, l’unico a quel tempo dedicato dalla tv pubblica ai cartoni animati, a far entrare i quarantenni di oggi nel mondo degli eroi dai poteri sovrumani. C’era Superman, il giornalista timido dalla mascella squadrata e gli occhiali da miope, e l’Uomo Ragno, attaccato come una ventosa ai grattacieli di New York. E con loro i Fantastici quattro, una banda di tipi strani e dalle qualità bizzarre (uno che diventa roccia, l’altro che si allunga come una molla) che puntualmente, per i bimbi di allora, diventavano modelli per travestimenti carnevaleschi.
Erano amati e imitati, perché popolari. Ma anche per un altro motivo. Erano come te, gente normale che solo per un grande fine (sconfiggere il marcio) usavano la forza. E poi sapevi sempre da che parte stessero, non ti tradivano mai. In un mondo rigidamente diviso in blocchi (Est-Ovest e il muro di mezzo), loro erano il Bene, gli intrepidi difensori degli ultimi, gli insuperabili baluardi contro l’invasione delle forze del Male. Erano, è vero, le icone di un manicheismo di facciata, molto stelle e strisce. Ma sapere che loro c’erano, pur se nel mondo della fantasia, ti faceva andare a letto più sereno. Se qualcosa fosse andato storto, se qualche sogno ti avesse turbato, potevi ricorrere a loro. Si sarebbero tirati su la maschera e, indossate quelle equivoche tutine attillate, sarebbero venuti a salvarti.
Ebbene quegli eroi buoni, spinti dall’amore per il prossimo, senza macchia e senza paura, hanno oggi cambiato pelle e travestimenti. Dell’idealismo di allora hanno ora ben poco. Impigliati anche loro nella rete del relativismo etico, tirati giù dal piedistallo come tanti altri miti, hanno perso ogni fascino e poesia. Tirano a campare, o peggio, si buttano dall’altra parte, passando armi bagagli (e super poteri) agli ordini del nemico.
È la metamorfosi che rende inquieti i bimbi di allora, padri oggi di ragazzini che divorano fumetti alla nitroglicerina, bombe di violenza in formato tascabile. Un fenomeno che è balzato agli occhi anche agli esperti dell’American Psychological Association, che hanno tracciato il profilo psicologico dei supereroi di moda ai giorni nostri, tutti muscoli e potenza: troppo machi e prevaricatori, sfruttatori e violenti, cattivi maestri di bullismo e ostentazione. «Sono costantemente impegnati in azioni di violenza non-stop – afferma Sharon Lamb, docente di salute mentale all’Università del Massachusetts di Boston –, sono aggressivi e sarcastici, raramente parlano di quanto sia giusto agire per il bene della gente. E poi sono scansafatiche, insegnano ai più giovani che essere fannulloni è positivo».
«Gli “antenati” dei nuovi supereroi – incalzano gli psicologi americani – sotto la tutina avevano un cuore, e smessi i panni del paladino della giustizia, erano persone vulnerabili, con tanto di problemi reali e punti deboli». L’esito è scontato. Per gli psicologi potrebbero portare sulla cattiva strada gli adolescenti che sognano di diventare come loro, oppure in alternativa,«fuggono sistematicamente dalle proprie responsabilità»prima a scuola, poi nella vita, secondo l’altro modello oggi imperante nei fumetti (alternativo al vincente violento) e cioè quello del supereroe buffo, pigro, passivo.
L’identikit sembra tagliato su misura su X-men o Iron Man, miti senza morale dei ragazzi d’oggi, nati sulla carta, ma, fin dall’inizio, pensati per spadroneggiare in film d’azione hollywoodiani, tutto ammazzamenti ed effetti speciali. «Anche Batman era cattivo – fa però notare Sergio Brancato, sociologo della comunicazione dell’università di Salerno, intervistato da Repubblica –, sono i tempi ad essere cambiati. Negli anni Cinquanta si promuoveva la purezza del mito. Oggi l’immagine dell’eroe buono e pronto a tutto per salvare l’umanità semplicemente non funziona più, il pubblico è più complesso e chiede dei miti altrettanto complessi. Ma questo non significa affatto che questi “nuovi” supereroi siano diseducativi. È il fatto stesso di essere “super” a entusiasmare e infondere speranza».
Sarà. La spiegazione suona convincente. Epperò resta la nostalgia, il rimpianto e la sensazione di buttare via un’altra possibilità. Perché se anche i supereroi cominciano a pensare ai fatti propri, girano la testa dall’altra parte mentre qualcuno commette ingiustizie o, peggio, si mettono al servizio dei figli delle tenebre, a chi chiederanno aiuto i nostri figli per rendere un po’ migliore questo mondo?
Gianni Bianco
Quando c’era lui… caro lei!
Perché l’Italia “perbenista, normativa e democristiana” degli anni Cinquanta e Sessanta ha generato ed educato l’Italia “irriverente e trasgressiva” di questi anni? Com’è possibile che la generazione cresciuta guardando Superman, Giumbolo e Nick Carter abbia creato le Winx e Iron Man? La vita degli esseri umani non è suddivisa in epoche separate, ma scorre in una continuità dove ciascun periodo è figlio del precedente e genera il successivo.
Se il movimento del Sessantotto contestava una società autoritaria, la realtà di questi anni, spinta da un forte sviluppo mediatico, ha registrato invece un’improvvisa complessità a tutti i livelli. Il “muro” della guerra fredda, infatti, aveva diviso due mondi: l’Est dall’Ovest, il capitalismo dal comunismo, il bene dal male. E la comunicazione, che a vari livelli influenza gli stili di vita, si era adeguata, fronteggiando gli eroi “tutto-bene”, come Biancaneve, ai “tutto-male”, la strega cattiva.
La “caduta del muro”, invece, ha mescolato bianco e nero (bene e male), producendo una “società multicolore” nella quale, a fianco dei campioni del relativismo morale come X-men, troviamo anche Shrek (orco e brutto) il quale, come ciascuno di noi, mostra pregi e difetti, evidenziando però che si può essere migliori anche con i propri limiti. Quindi via le impossibili nostalgie! Shrek, senza alcun “magico superpotere”, è probabilmente più amato… e più sim-patico (dal greco sun-pathos = soffrire insieme) di tutti i supereroi di una volta.
Raffaele Cardarelli