La Merkel, la bambina e il giornalismo da quattro soldi

Cosa si sono realmente dette, in tedesco, la cancelliera e la giovane palestinese? Un caso come tanti di giornalismo incompetente e fame di sensazionalismo a tutti i costi
Merkel e bambina palestinese

«Dovrai tornare al tuo Paese: la Merkel fa piangere una bambina palestinese». E ancora: «La Merkel umilia la bambina palestinese: non potrai rimanere in Germania»: titoli del genere erano apparsi su più o meno tutte le testate qualche giorno fa, quando la cancelliera tedesca, nell'incontrare alcuni studenti durante una trasmissione televisiva a Rostock, aveva – almeno così si vedeva dalle immagini che accompagnavano gli articoli – fatto piangere una ragazzina arrivata in Germania dal Libano.

 

Alla giovane che le aveva spiegato, in perfetto tedesco, che avendo il padre perso il lavoro la famiglia era a rischio espulsione, la Merkel aveva risposto spiegandole che non è certo possibile accogliere chiunque, e che quindi le dispiaceva molto ma, non provenendo da un Paese in guerra, avrebbe dovuto tornarsene a casa sua. Parole che avevano suscitato l'indignazione internazionale proprio nei giorni in cui la Germania si trovava a fronteggiare critiche ancor più feroci sulla gestione della questione greca, con tanto di parodie su questo discorso – da quelle più ironiche a quelle di cattivo gusto, del tono “e meno male che non era ebrea”.

 

Però, c'è un però. Sarà che pochi giornalisti italiani conoscono il tedesco, e quindi non hanno avuto la possibilità di vedere il video integrale del dialogo tra la cancelliera e la ragazzina in lingua originale; sarà perché, anche se lo conoscevano, non hanno avuto il tempo o la voglia di farlo; sarà per puro e semplice sensazionalismo; fatto sta che, pur da giornalista quale sono, nemmeno io mi sono presa la briga di andare ad appurare che cosa davvero si fossero dette queste due donne finché il blog Pagella Politica non mi ha messo la pulce nell'orecchio con un post diffuso sui social network.

 

Il blog riporta sia il video che la traduzione della conversazione (che potete trovare integralmente qui). Tutto inizia con uno scambio di battute sul tema dell'integrazione scolastica, per poi passare al racconto di come il padre di Reem – questo il nome della quattordicenne –, in Germania ormai da quattro anni, abbia perso il lavoro e non riesca a ritrovarlo. Già la famiglia ha corso il rischio di essere espulsa, ora è in attesa della decisione delle autorità: e Reem conclude chiedendo alla cancelliera come mai sia molto più difficile per uno straniero che per un tedesco trovare un lavoro, e confidandole quanto la faccia soffrire l'incertezza sul suo futuro.

 

Qui si inserisce la tanto incriminata risposta della Merkel, che osserva come non sia possibile accogliere tutti indistintamente, ma anche come sia necessario intervenire su un sistema che dopo quattro anni ancora non sia in grado di dare certezze ai richiedenti asilo. Certo la Merkel è forse “rea” di aver insistito soprattutto sulla prima parte del ragionamento, ripetendolo più volte; nonché di aver affermato che è giusto dare la precedenza a chi viene da Paesi in guerra, e quindi non dal Libano; fatto sta che la frase “devi tornare al tuo Paese” non compare mai – la cancelliera afferma invece “alcuni dovranno tornare a casa”.

 

Reem scoppia poi in lacrime soltanto alla fine, quando il conduttore chiede alla Merkel che cosa le autorità intendano fare per venire incontro a casi come quello appena esposto: ma la Merkel non finisce nemmeno la risposta, perché va a consolare la ragazzina.

 

Ora, sull'opportunità di aver risposto con flemma e realismo da politica consumata, andando a toccare tasti evidentemente molto delicati per una ragazzina come Reem, si può discutere; resta il fatto che l'aver estrapolato – e in alcuni casi distorto – una singola frase da un intero discorso ha fatto apparire come offensiva quella che era magari una risposta che peccava di scarsa sensibilità, ma che certo non giustifica l'aver dipinto la cancelliera come la paladina del “tornatevene a casa vostra”.

 

Non certo il primo esempio delle famose verità che, se raccontate a metà, finiscono per diventare bugie, nonché di un giornalismo che per scarsa competenza o per amor di sensazionalismo dà loro voce. Per la cronaca, pare che la storia di Reem avrà un lieto fine: il caso ha mosso addirittura il ministro per le politiche migratorie, Aydan Oezoguz, che ha assicurato che la legge sull'immigrazione, recentemente modificata, riconosce il permesso di soggiorno ai giovani che hanno vissuto per almeno quattro anni in Germania.

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