La meglio gioventù

Ci sono film destinati a lasciare il segno nel tempo e La meglio gioventù è uno di questi. Vincitore a Cannes nella sezione Un certain regard, il film di Giordana è un grandioso affresco di trent’anni della nostra storia, dagli anni Sessanta ai Novanta, girato con passione, rigore e un ritrovato gusto della saga familiare che da anni mancava al nostro cinema. Un film pensato inizialmente per la televisione (quattro episodi di un’ora e mezzo ciascuno per sei ore complessive di programmazione) ma che la Rai teneva inspiegabilmente nel cassetto, quasi che la programmazione di qualità della televisione di stato, in questi tempi, non necessitasse di tutto il supporto possibile. Fortunatamente il successo alla Croisette ha permesso la distribuzione nelle sale italiane (considerata la lunghezza il film sarà proiettato in due parti), consentendo al pubblico di godere di quello che può forse essere definito l’evento cinematografico italiano degli ultimi anni. La meglio gioventù, dicevamo, è una saga familiare che racconta in special modo di due fratelli, Matteo e Nicola, compagni inseparabili fino a quando, a metà degli anni Sessanta, l’incontro con una ragazza psichicamente disturbata innescherà una repentina trasformazione nella vita dei due. Matteo entrerà in polizia, Nicola si specializzerà in psichiatria e da questi palcoscenici in qualche modo privilegiati, i due entreranno, ognuno a suo modo, nel vivo delle vicende e degli episodi che nei decenni seguenti segneranno la storia recente del nostro paese: l’alluvione di Firenze, il movimento del ’68, la legge Basaglia, il terrorismo, le contestazioni del ’74 e del ’77, la ristrutturazione della Fiat, la strage di Capaci, fino ad arrivare a Tangentopoli. In un efficacissimo equilibrio tra vicende personali e vicende storiche, Giordana dipinge un quadro vigoroso, coinvolgente e toccante, che ci restituisce con il filtro di una profonda ma controllata emozione un pezzo importante della nostra storia, riuscendo a non scadere nel manicheismo o nel pregiudizio storico e sociale. Ma c’è da dire che nonostante l’ampio respiro, la storia raccontata nel film è condizionata dal fatto di essere osservata da un punto di vista particolare, quello di una famiglia della media borghesia laica e di sinistra, e il quadro complessivo che ne scaturisce è quindi, per forza di cose, parziale e incompleto. Restano fuori dal racconto importanti pezzi della storia più o meno recente di quegli anni (completamente ignorati gli eventi conciliari che hanno rappresentato un cambiamento importante anche al di fuori del mondo cattolico, così come momenti cruciali come la primavera di Praga o il rapimento e l’omicidio di Moro, solo per citarne alcuni), e sono assenze che testimoniano che in operazioni di questo tipo è inevitabile ricorrere a riduzioni e semplificazioni. Non è un dramma, dunque, che a tratti affiori un certo didascalismo, da sempre uno dei limiti più evidenti del cinema di Giordana, mentre nell’ultima parte il film si indebolisce sia per un eccesso di intimismo, sia per un lieto fine che sembra dettato più dalla natura televisiva dell’opera che da reali esigenze narrative e finisce così per assumere un tono posticcio. Ma nonostante questi limiti, il film affascina e coinvolge perché sembra intessuto in ogni sua fibra di una voglia di raccontare, di spiegare cos’era l’Italia e com’è cambiata e al contempo di far riemergere la passione civile, la partecipazione attiva, la voglia di cambiare le cose in una società in cui il disimpegno sembra prevalere sempre più. Giordana, supportato dalla splendida sceneggiatura di Rulli e Petraglia, riesce a imprimere alla narrazione l’incedere giusto e, nonostante la vastità dei territori esplorati, a incastrare al meglio i pezzi di questo immenso puzzle. Persino gli attori, sempre più spesso una delle note più dolenti del nostro cinema, questa volta si muovono perfettamente a loro agio nei panni di personaggi autentici e plausibili e la ricostruzione storica e ambientale delle varie epoche è curata fin nei più minuti dettagli, a testimoniare uno sforzo anche produttivo a tutto tondo. Insomma, la bellezza di un’opera come questa rinverdisce i fasti di un cinema italiano che si pensava non esistesse più. Regia di Marco Tullio Giordana; con Luigi Lo Cascio, Adriana Asti, Sonia Bergamasco, Maya Sansa, Fabrizio Gifuni, Jasmine Trinca, Alessio Boni, Camilla Filippi.

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