La Mecca, strage al pellegrinaggio per il caldo estremo

Si è concluso a La Mecca, in Arabia Saudita, l’Hajj, che si svolge a partire dall’ottavo giorno (quest’anno corrispondeva a venerdì 14 giugno) di Dhu Al Hijjah, il dodicesimo mese dell’anno secondo il calendario islamico. Ma il clima torrido - 51,8°C - ha provocato oltre 1300 vittime tra i pellegrini, soprattutto fra i più poveri.
Oltre 1,5 milioni di pellegrini arrivano in Arabia Saudita per il pellegrinaggio Hajj 2024. I musulmani che parteciperanno quest'anno dovranno affrontare la sfida di un significativo aumento delle temperature. (Foto Ansa, EPA/STRINGER)

I complessi e coinvolgenti riti dell’Hajj, il periodo di 5-6 giorni dedicato al pellegrinaggio ai luoghi santi dell’Islam, coinvolgono ogni anno milioni di fedeli musulmani. Lo Hajj si è concluso dopo i tre giorni della grande Festa del Sacrificio (Eid Al Adha), dal 16 al 18 giugno. Per farsene un’idea è molto interessante un articolo pubblicato da Aljazeera nei giorni precedenti. L’Hajj e gli altri 4 “pilastri dell’Islam” – professione di fede, preghiera, elemosina e digiuno di Ramadan – sono il fondamento della vita dei musulmani, e tutti sono tenuti, se in buona salute e ne hanno la possibilità economica, a compiere il pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita.

Compiere l’Hajj è molto più che un dovere, esprime anzi una forte aspirazione per moltissimi musulmani di tutto il mondo. Tanto che le autorità saudite hanno da tempo fissato il numero massimo di visti-hajj che ogni anno concedono in questo periodo: l’anno scorso sono stati circa 1,85 milioni i fedeli musulmani che hanno ottenuto il visto-hajj. Il perchè di questo limite è intuibile: quasi 2 milioni di pellegrini concentrati in pochi giorni negli stessi luoghi e in uno dei periodi più caldi dell’anno, crea non pochi problemi. Tanto che anche in passato ci sono state tragedie dovute alla calca e al caldo, con migliaia di vittime.

Il problema di quest’anno è stato soprattutto il caldo (al quale non sono estranei i cambiamenti climatici): il picco di temperatura raggiunto a La Mecca tra sabato 15 e domenica 16 giugno è stato di 51,8 gradi. L’altro lato del problema sono i costi del visto-hajj e del viaggio che i tour operator offrono: un pacchetto costa tra 5 mila e 9 mila dollari tutto compreso, a persona. Un’organizzazione che sembra valere circa 15 miliardi di dollari l’anno. 5-9 mila dollari non sono esattamente un prezzo economico per 5-6 giorni di viaggio. E infatti moltissimi non se lo possono permettere anche risparmiando tutta la vita.

Eppure l’aspirazione al pellegrinaggio è molto grande e diffusa, soprattutto tra le persone che quelle cifre non le hanno mai viste. Così dal 2019 sono emerse agenzie di viaggio che offrono il tutto compreso per la metà o anche di meno. Ma nei prezzi “economici” non c’è il visto-hajj, bensì un semplice visto turistico che “non comprende” per esempio le tende con l’aria condizionata per la notte e per le soste. E questo, a 51,8 gradi è decisivo. Infatti pare che durante il pellegrinaggio di quest’anno ci siano stati oltre milletrecento morti per il caldo. Vittime in gran parte fra i non registrati, quelli cioè senza visto-hajj.

E sembra che i pellegrini non tutelati di quest’anno fossero più di 170 mila: gruppi venuti dall’estero in pullman e talora scaricati a 10-12 km da La Mecca, in un deserto rovente senza alberi né acqua o ripari. E se l’acqua è disponibile più o meno per tutti, le strutture refrigerate, l’assistenza medica e logistica non sono previste per chi non ha un visto-hajj o non è in qualche modo registrato.

Secondo l’Afp (Agence France-Presse), degli oltre milletrecento morti, 658 erano egiziani e, tra loro, 630 non registrati. Vale a dire che erano entrati in Arabia Saudita con un visto regolare ma per turismo, e non per partecipare al pellegrinaggio. E come clandestini fuggivano dalla polizia per non essere arrestati, oltre a non poter accedere agli spazi climatizzati e all’assistenza.

Chi possiede il costoso “visto hajj” entra poi in un circuito che garantisce ai pellegrini il pernottamento in tende dotate di aria condizionata, i trasferimenti tra i principali luoghi sacri dell’Islam in autobus e cure sanitarie. Il problema è che ottenere quei permessi può rivelarsi un processo complicato e inaccessibile per famiglie con pochi mezzi. E così molti decidono di mettersi in viaggio con un semplice visto turistico, offerto da alcune agenzie con pochi scrupoli.

Dei 1300 morti dovuti al caldo, oltre ai 658 egiziani, ci sarebbero circa 165 indonesiani, 98 indiani ed altri provenienti da Malesia, Tunisia, Algeria, Marocco, Giordania, Iran, Iraq e Senegal, secondo il sondaggio effettuato da Afp contattando diverse ambasciate. Da parte delle autorità saudite, finché è il caso non è esploso sui media internazionali, nessun commento. Poi l’ammissione, ma sottolineando soprattutto che la maggior parte delle vittime non era registrata. Il governo egiziano è stato uno dei primi a prendere provvedimenti revocando la licenza a 16 agenzie di viaggio, alle quali ha anche imposto di risarcire le famiglie delle vittime.

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