La marcia di mille uomini e donne scalzi
Stanno in piedi ai margini della strada, uno vicino all'altro, qualcuno in silenzio, qualche altro parla sotto voce, altri si lanciano sguardi furtivi. Sono per lo più uomini, ragazzi, più alcune donne con loro bambini. Tutti schivi e quando ti avvicini per fare qualche domanda si allontano e con la mano ti salutano. I più “veterani” sono invece impegnati in cucina a preparare la cena per la festa della sera, quando si festeggerà il capodanno eritreo.
Intanto all'esterno del centro Baobab, in via Cupa vicino alla stazione Tiburtina di Roma, le persone che arrivano e si fermano sono tantissime. Aspettano che inizi la “Marcia degli uomini e delle donne scalzi”, iniziativa a sostegno dei diritti dei migranti che fuggono da guerre e povertà affinché siano accolti in un'Europa senza confini e frontiere.
«Qui al centro Baobab c'è uno scambio biunivoco, noi diamo qualcosa a loro ma riceviamo tanto e stiamo crescendo anche noi volontari – racconta Andrea, uno dei volontari di lungo corso del centro di accoglienza Baobab di via Cupa a Roma –. I migranti che arrivano da noi in genere provengono dalla Sicilia o da altri centri della Calabria e chiedono essenzialmente un pasto. Questo luogo per loro rappresenta, per i 4-5 giorni di permanenza, l'ultimo sforzo prima di arrivare alla loro meta. In maggioranza sono donne con bambini, tanti uomini, difficilmente ci sono invece nuclei familiari completi. La comunità eritrea è quella più numerosa, una volta sbarcata in Italia sa, credo per un incredibile tam tam di notizie, di poter arrivare al nostro centro a Roma. Per il resto, ritengo che la prima cosa da fare per evitare di aver paura dei migranti, sia basarsi sulla propria esperienza personale piuttosto che farsi influenzare dai media. Molti studi hanno dimostrato che percentualmente i crimini commessi da stranieri sono più bassi di quelli commessi da italiani», conclude Andrea.
Intanto sono diventate più di mille le persone che nel frattempo si sono radunate davanti al centro di accoglienza, pronte a togliersi le scarpe e a marciare scalzi non curanti dell’asfalto bagnato dopo l'acquazzone pomeridiano. Tantissimi i giovani, le associazioni come Amnesty international e Save the children che hanno aderito, oltre a esponenti politici locali.
Alla testa della marcia i giovani immigrati che sorreggono lo striscione Everyone is welcome in Rome (tutti sono accolti a Roma), altri hanno un cartello che recita “Un uomo non può tenere un altro uomo nel fango senza restare nel fango anche lui” e poi lo slogan urlato durante tutto il tragitto No borders free borders (nessuna frontiera, frontiere libere).
Non è facile far raccontare le proprie esperienze ai migranti, molti di loro guardano con sospetto chiunque faccia domande. C'è chi però come Abduh spiega cosa pensa «Io sono un musicista e provengo dal Gambia – racconta in inglese – qui continuo a fare il mio lavoro e cerco di aiutare gli altri immigrati che arrivano. A me piace il mio Paese e se vedessi che lì c'è di nuovo la pace, tornerei. Ecco, dovrebbero fare questo i governi, assicurare la pace».
La signora Elettra ha ben chiaro il senso di questa giornata: «oggi dobbiamo dare innanzitutto una dimostrazione di umanità, ancor prima di dare un significato politico che certamente serve. Per me sono tutti profughi, sia che provengano da Paesi in cui c'è la guerra, sia che scappino dalla fame e dalla povertà. Non possiamo dimenticare che l'Europa, l'Occidente hanno una grande, grandissima responsabilità in tutto quello che sta succedendo in questi giorni».
Alla stazione Tiburtina, luogo simbolo dei viaggi e dei migranti che da qui cercano la loro fortuna altrove, assistono alla marcia anche residenti del quartiere e alcuni tassisti che attendono possibili clienti.
«La verità non sta né tutta dalla loro parte, né da quella che raccontano i governi alla televisione, ma sta in mezzo – spiega un tassista –. A me fanno anche tenerezza quelli che arrivano, ma il fatto è che forse nemmeno loro sanno che anche noi qui stiamo male. Il problema doveva essere risolto 30 anni fa, aiutando quei Paesi a sviluppare l'agricoltura, l'industria e tutto il resto. Oggi la cancelliera Merkel fa il grande annuncio di volere i migranti, ma solo quelli siriani e solo i laureati. Perché questa discriminazione? Non hanno forse bisogno anche quelli che non hanno studiato?».