La malattia dei poveri
Torna a farsi sentire la tubercolosi, una patologia che in Occidente sembrava debellata.
Ancora negli anni Cinquanta si usava l’aforisma: «La tubercolosi è la malattia dei poveri, il diabete quella dei ricchi». Oggi il detto conserva tutta la sua attualità se si tiene conto della distribuzione geo-sociale di queste malattie. Infatti, il “mal sottile” miete ancora vittime in Africa, Asia, e anche in Russia. Quello che può destare perplessità ai non addetti ai lavori è l’episodio di contagio che si è verificato nel reparto di pediatria del Policlinico Agostino Gemelli di Roma.
Fenomeni analoghi sono già accaduti in Italia: nel 2008 in provincia di Fermo, e nel 2009, con minore incidenza, in alcune scuole di Sassari, Roma, Milano, Palermo, Ancona e Parma. Precisiamo subito che contagio non significa ancora malattia, per evitare inopportuni fenomeni di psicosi collettiva. All’origine c’è stato sempre parte del personale malato, ma con una diagnosi errata, oppure bambini provenienti da ambienti malsani, come i campi nomadi, o extracomunitari, o figli di persone affette da Aids. Come mai quindi, una vecchia malattia che sembrava debellata dall’introduzione degli antibiotici nella pratica clinica, si ripresenta in un Paese come il nostro che ha raggiunto un buon livello di assistenza medica e di benessere nutrizionale?
Diverse le spiegazioni, dai fenomeni migratori dai Paesi poveri all’abuso di antibiotici che ha prodotto nuovi ceppi del bacillo di Koch a loro resistenti, fino alla presenza di una classe medica che di tubercolosi ha sentito forse parlare, ma con la quale non si è mai cimentata fino ad ora.
Cosa bisogna fare allora di fronte alla recrudescenza di questa malattia? Provvedere innanzi tutto a un’accoglienza adeguata dal punto di vista sanitario verso coloro che si rifugiano da noi per trovare una vita più dignitosa. Istituire corsi di aggiornamento obbligatori sul tema per i medici, sfruttando il web per questo scopo e non gravandoli per la sola soluzione di problemi burocratici. Incentivare la ricerca di nuovi antibiotici, mediante una sana alleanza tra pubblico e privato, nell’interesse della comunità nazionale.