La magnanimità di Berlusconi

Un'analisi del linguaggio usato dal leader di Forza Italia: c'è l'apertura alla novità e alla società civile; ci sono le contraddizioni sull'uso delle parole e sulla testimonianza. Quali sono le caratteristiche tipiche di chi si candida a guidare un progetto di rinnovamento
Inaugurazione della nuova sede di Forza Italia

I linguaggi della comunicazione possono essere usati per diversi scopi, anche mediante la scelta delle parole.  Il videomessaggio di Berlusconi questa volta parla di sincerità, di guardarsi negli occhi come in famiglia, di partecipazione attiva per il bene dell'umanità, di essere missionari della politica, di libertà dell'uomo che nasce da Dio, cui si ispirerebbe il suo grido liberista.

Si ispira ad un'etica degna dei migliori propositi, arrivando a citare qualche espressione evangelica. Tuttavia, seppur si possa ammettere che egli, come ciascuno di noi, ritenga di essere nel giusto affermando la propria verità personale, si deve considerare qual è la vera origine della magnanimità, di cui egli si autoproclama annunciatore per il bene della società.

Volendo riprendere le Scritture, si legge – sulla carità-magnanimità – che essa «è benigna, non invidia, non si vanta, non si adira, è umile, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, ma si compiace della verità».

Se, inoltre, volessimo ispirarci a delle leggi umane per cercare di spiegare qual è l'atteggiamento magnanimo di chi incita al cambiamento per scopi socialmente nobili, possiamo considerare la teoria della comunicazione del noto psicoterapeuta Eric Berne, secondo il quale la massima espressione del benessere e dell'equilibrio personale e relazionale risiede nella capacità di accettare sé stessi e gli altri nella stessa misura (io sono ok – tu sei ok). È noto l'errore in cui è facile che inciampi anche un esperto di comunicazione quando punta a generalizzazioni e ad assolutizzazioni.

Silvio Berlusconi tradisce, nel proprio discorso, molti riferimenti generici accusando quali responsabili della sua "caduta" ora il «potere della magistratura», ora la «sinistra», ora entità sconosciute usando il pronome «noi» in contrapposizione al «loro», senza specificare chi e cosa hanno fatto esattamente. Una chiara distorsione comunicativa in cui si omettono i dettagli che non sono a sostegno della propria tesi. A dimostrazione di questo inganno, infatti, nel seguito del suo discorso afferma che Forza Italia non è un partito, nel senso che non rappresenterebbe una parte, ma che sarebbe un «progetto» e in quanto tale destinato a tutti. Ma se così fosse, perché contrapporre quel "noi" ai molti che lo perseguiterebbero, trasformandolo in una vittima del nostro sistema?

È ritornato poi il concetto di leader: Berlusconi ha affermato di esserlo e che non cesserà di esserlo nonostante la propria decadenza. Ma un leader non divide, annuncia i propri ideali ispirando tutti a seguirli e ritenendo tutti capaci di seguirli perché convinti dai valori profondi insiti nel cuore dell'uomo. Un leader è tale perché è riconosciuto all'unanimità e perché i suoi valori sono universalmente riconosciuti e non solo ritenuti validi per interesse da alcuni sostenitori. Un leader non ispira a parole, ma con l'esempio e quanto più si trova nella prova, tanto più diventa umile e magnanimo, poiché consapevole che solo con il proprio esempio sarà in grado di guidare, ispirare e accompagnare al cambiamento, anche gli avversari più tenaci.

Nelson Mandela rifiutò un'offerta di libertà condizionata in cambio di una rinuncia alla lotta. Era il febbraio 1985, Mandela rimase in prigione fino al febbraio del 1990, per 26 lunghi anni.  Ricevette il Premio Nobel per la pace nel 1993, e una volta uscito dalla prigione, fu eletto presidente del Sud Africa diventando il primo capo di Stato di colore. Le sue idee pacifiche anche se rivoluzionarie sono state d'esempio e continuano ad esserlo per molti.

«Dal profondo della notte che mi avvolge – recita la sua poesia –, buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro, ringrazio gli dei chiunque essi siano per l'indomabile anima mia. Nella feroce morsa delle circostanze non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia. Sotto i colpi d’ascia della sorte il mio capo è sanguinante, ma indomito. Oltre questo luogo di collera e lacrime, mai l’orrore delle ombre e ancora la minaccia degli anni, mi trova, e mi troverà, senza paura. Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita. Son Io il signore del mio destino. Son Io il capitano dell'anima mia. Un uomo innocente, che per il bene del suo popolo, non si è sottratto alla sorte, ma di questa ha fatto una leva potente per la realizzazione della pace tra gli uomini».

Questo è un linguaggio che l'umanità riconosce e che non può essere confuso, in cui parola e vita proclamano un'unica verità, difficile da smentire. Un proselito che non solo annuncia il bene ma che lo suscita.

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