La mafia sulle tavole italiane
Olio extravergine contraffatto, vino dalle origini incerte, pomorodi cinesi confusi con quelli made in Italy. Come si combattono le agromafie? Dal Rapporto di Legambiente 2011
Ce la invidiano tutti. Eppure la tanto decantata (e degustata) cucina italiana, frutto della dieta Mediterranea e di prodotti genuini e di qualità, rigorosamente made in Italy, è a rischio. A minacciarla sono le truffe alimentari, le “mani delle mafie sulle tavole degli italiani”, di cui si parla ampiamente nel “Rapporto Ecomafie 2011, le storie e i numeri della criminalità ambientale” di Legambiente, che riserva un intero e dettagliato capitolo alle “agromafie”. Il materiale non manca: si va dall’accertamento delle infrazioni (4.520) alle denunce (2.557), agli arresti (47 nel solo 2010) ai sequestri (per un valore superiore ai 756 milioni di euro). Esiste, in pratica, un mercato parallelo a quello legale che, secondo le stime della Confederazione italiana agricoltori, fattura almeno 7,5 miliardi di euro l’anno.
E i casi “sospetti”, nonché gli illeciti appurati e le vere e proprie truffe, purtroppo non mancano. Citando un’anticipazione dell’ultimo Rapporto Coldiretti/Eurispes sulle agromafie, presentato lo scorso marzo al Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio, si ricorda che «circa un terzo della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati, per un valore di 51 miliardi di euro di fatturato, deriva da materie prime importate, trasformate e vendute con il marchio made in Italy, in quanto la legislazione lo consente, nonostante in realtà esse possano provenire da qualsiasi punto del pianeta». Ma guardiamo ai dati che fanno dire agli esperti di Legambiente che “i conti non tornano”.
I pomodori cinesi
«In Italia – si legge nel Rapporto – sono state importate 161.215 tonnellate di pomodori preparati o conservati di cui il 52,9 proveniente proviene dalla Cina, destinate per il 98,6 per cento del totale alla sola provincia di Salerno, patria del mitico San Marzano».
I vini rossi americani
L’Italia, continua il testo, «ha importato dall’estero circa 70.500 tonnellate di vini di uve fresche, per la quasi totalità provenienti dagli Stati Uniti e solo marginalmente da Repubblica Sudafricana, Cile e altri paesi, destinate per il 94,8 per cento alla provincia di Cuneo, nota nel mondo per i grandi rossi made in Italy».
I salumi cileni
La terza annotazione riguarda i salumi. Nel nostro Paese, infatti, «sono state importate 4.983 tonnellate di carne suina provenienti per il 91 per cento dal Cile e destinate per l’87,4 per cento alle sole province di Milano e Modena (dove, come è noto, si confezionano prosciutti “italiani”)».
Caviale cinese, mozzarelle blu, olio deodorato
Lasciando da parte i prodotti mal conservati, ci concentriamo su quelli per così dire “taroccati”. Qui, l’elenco, in parte già noto ai consumatori più attenti, diventa molto lungo. Nonostante ciò, grazie ad etichette mendaci e alla vastità del fenomeno, la maggior parte delle truffe alimentari resta spesso ignota. Tra i casi conosciuti, comunque, ci sono le mozzarelle blu o a pois (l’ultimo caso, segnalano da Legambiente, si è verificato nei mesi scorsi in una mensa scolastica), il caviale cinese che non conteneva tracce di pesce, ma solo materiale chimico, il latte venduto come 100 per cento italiano ma proveniente dalla Germania, il vino contraffatto e i doc fatti con uve di origine ignota. Non mancano neppure le miscele di vari oli vegetali “deodorati” e spacciati per extra vergine d’oliva: l’Italia, paese famoso per l’alta qualità delle sue produzioni, ne importa 564 milioni di chili e ne produce “solo” 500 milioni.
Ma se sono le organizzazioni criminali ad organizzare i traffici illeciti, c’è poi, spiegano Enrico Fontana e Antonio Pergolizzi nel Rapporto di Legambiente, «un vero e proprio esercito di colletti bianchi e imprenditori collusi. Ampia disponibilità di denaro liquido (e di ingenti patrimoni da far fruttare) da una parte, competenze professionali e società di copertura dall’altra, hanno trovato nel business ambientale una perfetta quadratura».
Cosa fare?
Ma allora, cosa possono fare i consumatori? Devono rassegnarsi e incrociare le dita ogni volta che siedono a tavola? O ci sono delle soluzioni? Legambiente sottolinea innanzi tutto l’importanza delle etichette alimentari, che consentono una maggiore tracciabilità dei prodotti rispetto al passato, che dovrebbe garantire maggiore sicurezza. Si chiede poi al governo di inserire nel codice penale i “delitti contro l’ambiente”, prevedendo, come chiesto dall’Unione europea, sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per punire i reati ambientali. Del resto, nonostante le difficoltà, il settore agricolo, naturalistico e paesaggistico italiano è uno di quelli che hanno contribuito a fare grande l’Italia all’estero. La qualità e la varietà delle produzioni, la bellezza delle nostre terre, lo straordinario patrimonio di biodiversità rappresentano una ricchezza unica da cui le associazioni criminali devono togliere le mani, grazie anche ad acquisti più attenti da parte dei consumatori e ad una più grande attenzione alla natura, intesa come salvaguardia dell’ambiente, al fine di preservarne l’assetto socio-economico, la vocazione e l’identità territoriale.