La madre di tutte le cose

La clamorosa scoperta del tempio di Iside a Pompei all’origine della moda egittizzante che invase l’Europa tra Settecento e Ottocento
Iside

Negli anni sessanta del 1700, in Europa non si parlava che della scoperta, a Pompei, di un santuario dedicato alla dea Iside, praticamente intatto fin nelle decorazioni, statue di culto e arredi, ora nel Museo Archeologico di Napoli. Non si conoscevano altri esempi simili. Oltre al tempio vero e proprio, cinto da porticati con affreschi che riproducevano quasi alla lettera i rituali descritti da Apuleio nelle Metamorfosi, si potevano ammirare l’ambiente sotterraneo dove veniva custodita l’acqua lustrale del Nilo usata nelle cerimonie, la sala riservata per riunioni o banchetti sacri, nonché gli ambienti riservati ai sacerdoti. Antiquari, studiosi, scienziati e scrittori, viaggiatori curiosi affluirono da tutta Italia e anche dall’estero per visitare questa meraviglia, e l’eco scritto e orale che ne derivò fu abbondante esca per la moda egittizzante che invase l’Europa dell’epoca al punto da diventare una vera mania.

 

Iside, che con lo sposo Osiride e il figlio Horus formava la suprema triade egizia, conobbe così rinnovata fama. Dea universale della natura, della fecondità, madre di tutte le cose adorata nella terra del Nilo sotto forme numerosissime, era stata assimilata dai greci a molte delle loro divinità, tra cui Era, Afrodite, Selene, Io. Dalla Grecia, poi, il suo culto si era diffuso, durante il periodo ellenistico, in tutto il bacino mediterraneo, fino a Roma, sotto forma di misteri: i cosiddetti misteri isiaci. Tu una quae es omnia, Tu che sei una e tutto, si legge in riferimento ad Iside su una famosa iscrizione di un devoto campano.

 

Ma a cosa si deve la straordinaria fortuna che ad un certo punto ha posto questa divinità egizia in cima, quasi, alla hit parade del mondo mitologico classico? La risposta nel mito di Osiride, il principio buono, che Set, personificazione del principio del male e del disordine, uccise disperdendone i pezzi nella regione paludosa del Nilo. Messasi alla ricerca ansiosa dello sposo perduto, Iside riuscì, con l’aiuto di Nefti e di Anubi, con mezzi magici, a dare nuova vita ad Osiride, non però sulla terra, ma nel regno dei morti. Nondimeno il dio poté generare Horus, che Iside nutrì e allevò nascostamente nelle paludi del Delta. Questo dramma sacro, che ebbe molti sviluppi e varianti, esprimeva efficacemente i più profondi sentimenti degli uomini. I credenti vi attingevano la speranza di rivivere dopo la morte in un altro mondo, sotto un re giusto e benigno. E da Iside pietosa, causa della resurrezione del suo sposo, anche il più umile e reietto tra gli uomini –prima che il cristianesimo soppiantasse ogni culto pagano – poteva aspettarsi non solo protezione nella vita quotidiana ma quella sopravvivenza ultraterrena che le divinità tradizionali dell’Olimpo pagano non erano capaci di garantire.

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