La lunga strada della pietas

Il senso profondo di un termine che ha seguito l’evolversi del tempo, dall'epoca dei romani ai giorni nostri
pietas

Il termine pietas nasce in ambito romano, per indicare l’onore e il rispetto verso gli Dei, fin dai tempi delle formazioni delle prime tribù, ai primordi dell’Urbe. Cresce, poi, insieme alla città. Ma la Repubblica è funestata sempre più da guerre esterne di conquista e poi da guerre civili. Un lungo periodo di sangue, di campagne spopolate e distrutte, di valori incrinati o perduti con l’arrivo di altri dèi, di altri usi e costumi dei popoli conquistati e vinti.

Sarà allora Augusto, imperatore, appena salito al potere nel 31 a.C., a proporsi di recuperare gli ideali antichi per restaurare quella Pax Romana tanto necessaria, dopo il terribile periodo delle guerre che avevano insanguinato Roma nell’ultimo secolo.

Il suo disegno politico è caratterizzato da una vera e propria propaganda: restaurare i valori del Mos maiorum (la severitas, la parcitas, la pietas…). In primis, rivalutare il lavoro dei campi e poi mettere “nero su bianco” l’antica leggenda del pius Enea fondatore di Roma, di cui Augusto si considerava discendente in quanto appartenente alla Gens Iulia.

L’imperatore pensa così ad un’opera che racconti il travagliato viaggio di Enea alla ricerca di una nuova terra e affida il compito a Virgilio. Il poeta mantovano non è ancora corrotto dall’ambizione dell’Urbe, perché cresciuto in campagna: è già noto per aver scritto un’opera, le Bucoliche, dove emerge la religiosità della virtuosa e felice vita in campagna; una realtà che si scontra con la guerra e le sue ragioni (lui stesso fu coinvolto nelle tragedia delle guerre civili e costretto ad abbandonare i propri averi per lasciare tutto ad un altro, uno sconosciuto, un vincitore straniero).

Sarà Virgilio, dunque, a scrivere l’Eneide, il poema nazionale di Roma e Enea (alter ego di Virgilio) che incarnerà per sempre il modello dell’eroe pius. Quello che rinuncia a sé stesso per seguire la volontà degli Dei, che gli ricordano insistentemente la sua meta: continuare ad andare avanti perché gli è stato affidato un ruolo importantissimo, fondare una città che sarà Caput Mundi.

Enea, è molto umano, e, come tale, debole. A volte pieno di dubbi, come chiunque di noi. La strada della pìetas,passa dall’esercizio all’Humanitas, che Roma ha conosciuto grazie al circolo degli Scipioni, meritevoli di aver fatto conoscere al “duro mondo romano”, la filosofia greca.

Enea vorrebbe fermarsi spesso, durante il viaggio: non è un assetato di avventure o di guerre, anzi. A volte pensa di aver trovato il luogo indicato, la terra promessa. Quando incontra Didone e si innamora di lei, pensa che quella sia la sua nuova Troia: la città ha già delle mura forti ed è in costruzione per diventare forte e grande. Ma è solo un sogno. Dovrà ripartire, ed ignorare la colpa per la morte di Didone che lo odierà per sempre.

E alla fine, trovato il luogo indicato, non ci sarà nemmeno riconoscimento finale per il pius Enea: il suo corpo rimarrà inumato, perché non viene ritrovato.

Nessuna tomba per l’eroe.

Ma passano i secoli e dopo l’età Augustea, il significato originario di pìetas vacilla fortemente, già con i primi imperatori della dinastia Giulio-Claudia .

In più, con le progressive conquiste dell’Oriente arrivano a Roma altre religioni; cominciano a mescolarsi agli ideali del Mos Maiorum, altri ideali, e altre divinità. Il più diffuso è il culto di Mitra, soprattutto fra i soldati (che stanno diventando lo strato sociale più forte, nella sempre più vacillante civitas romana), che inneggia alla forza fisica, antesignano “superuomo” nelle vittorie amorose e belliche.

E infine si diffonde il cristianesimo, a macchia d’olio, nonostante le persecuzioni e le violenze per arginarlo. Nel cristianesimo la pietas, è un cardine inclinato in un’ottica sempre meno orizzontale (la patria, gli dei, la famiglia, i doveri…) e sempre più verticale: il referente è Dio, e l’uomo, in basso, si rivolge a Lui, in alto: se l’uomo segue la sua strada, sarà al sicuro.

A Dio viene chiesta pietà, agli uomini viene chiesto di essere misericordiosi verso il prossimo -nel quale vedere l’altro se stesso- e di Dio in mezzo.

La pietas nel suo significato originario, continuerà a riemergere in tutta la letteratura italiana, sia in quegli autori che riprendono il classicismo latino, sia in quelli più votati ad un cristianesimo più impellente: Tasso, nella Gerusalemme liberata, parla di Goffredo di Buglione come se fosse un novello Enea, e Dante, nell’Inferno, usa il termine pietà come pena interiore, come qualcosa che lo punge a pena ( per es.Inf. I, 19-21)

Innovativo e inclusivo di entrambe le posizioni, potrebbe essere l’uso che, del termine, fa Leopardi, il quale amalgama il concetto di “solidarietà”, alla pìetas, ma scevra di un referente divino. Nessun Dio misericordioso esiste, per Leopardi. Tuttavia, egli riesce a dare alla parola una caratteristica più alta, che sa di spiritualità, di valore universale, di unione tra gli uomini: la nobile natura è quella che concorre alla realizzazione di una società solidale fondata sulla giustizia e sulla pietà: quell’impulso al bene «l’affetto dolcissimo della pietà, madre o mantice dell’amore» (Zibaldone 3607).

Che cosa resta, oggi, della pietas romana? Poco, molto poco.

Il significato originario si è andato lentamente offuscando nei suoi contorni netti, anche per il cattivo uso lessicale che ne abbiamo fatto. E così il concetto di pietas comincia a incrinarsi, fino ad assumere, attraverso il medioevo, attraverso la riforma Luterana, e poi fino a noi, il significato di “pena”, “compassione”. Si dice: “Quel povero cane mi fa pena” quando si prova dolore, oppure “ è uno spettacolo recitato da far pena!” quando si disapprova e anche “fai pena vestito così!!” per esprimere disgusto.

Si è dunque perso del tutto il significato originario? Forse ci può venire in aiuto un ragionamento filosofico, che sembra suggerire di guardare nelle pieghe dei nostri sentimenti: «La pietà o compassione, è una strada a doppio senso perché mentre aiutiamo gli altri, aiutiamo noi stessi. Questo approccio genuino delle anime genera uno stato di benessere, gratitudine e felicità: quando la tua paura tocca il dolore dell’altro, diventa pietà. Quando il tuo amore tocca il dolore dell’altro, diventa compassione». (https://angolopsicologia.com)

È lunga, dunque, la strada della pìetas, fino a disorientare. Quello che conta è riflettere sulla sua storia e capirne i mutamenti, le sfaccettature, l’origine e la fine.

Alfa e omega, un cammino lunghissimo.

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