La lunga avventura di Gian Luigi Rondi

Una carriera di critico cinematografico cominciata nel 1947 esercitando una certa influenza sulla settima arte in Italia. Presentissimo nelle giurie dei maggiori festival internazionali. Una vita che racconta un pezzo di storia del nostro Paese
Ansa Rondi

Novantacinque anni vissuti senza risparmio, quelli del vecchio signore nato vicino a Sondrio, dalla sciarpa candida e gli occhietti vispi di chi aveva conosciuto tutto, se non molto della vita. Del cinema certo (quasi) tutto).

 

 Rondi era dal 1947 curatore della rubrica di critica cinematografica sul quotidiano “Il Tempo”, spinto da Andreotti. Un politico a cui è rimasto fedele anche nello spirito, ossia nella capacità di stare con tutti, amici e nemici, di filtrare incontri e persone, di tessere progetti, apparendo  al momento giusto.

 

Corrispondente italiano per “le Figaro” –la famiglia viveva a Parigi -, per “Cinémonde”, fondatore nel 1949 del primo Congresso della Critica cinematografica e del rispettivo sindacato, membro onnipresente  di giurie e di festival (Berlino, Cannes, Rio de Janiero) e Venezia, ovviamente (1993-96) e da ultimo della Festa di Roma, era stato docente di cinema nelle università, scrittore anche  autobiografico (Le mie vite allo specchio, 1.300 pagine!), appassionato del cinema francese  e giapponese, oltre che dell’amico Bergman,  curatore di dialoghi di film stranieri.

 

E amico di innumerevoli personaggi del cinema, tra confidenze e mondanità, da cui non si sottraeva, dato che facevano parte del “lavoro”. Sapeva trattare anche con personaggi a lui non affini come Pasolini – che gli dedicò un epigramma luciferino -, Pontecorvo e Bertolucci. Perché Rondi aveva un’anima di fondo “democristiana”, elastica, pronto dalla gioventù partigiana ad esser fedele ad Andreotti, e poi a dirigersi verso il Pd. Ma a Rondi interessava vivere i l cinema, non gli importavano troppo le cordate, l’importante era fare e far fare cinema all’Italia.  Ed in questo, occorre dirlo, c’è riuscito, come testimonia una che gli deve molto, Gina Lollobrigida.

 

Un uomo certo potente, e forse per questo motivo non sempre amato. Di lui mi resta l’immagine dell’anziano critico che sonnecchia alle proiezioni per poi scriverne  il giorno dopo…Chissà forse vedeva i film anche in sogno. C’è da giurarci, da innamorato com’era della settima arte.

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