La luce sottofondo del buio
Tributo a Vivaldi e alla forza evocativa della musica, omaggio alle fanciulle abbandonate all’Ospedale della Pietà di Venezia, Stabat Mater (Einaudi) è un romanzo che coinvolge totalmente il lettore, rivolgendosi alle radici dell’anima di ognuno, nutrite del rapporto con la propria madre, ponendo costantemente di fronte al limite decisivo dell’esperienza umana, la morte. Diario dell’anima e romanzo di formazione, il racconto è la storia della conquista, da parte di Cecilia, sedicenne protagonista, di quanto c’è di più importante e difficile per ciascuno: sé stessa come apertura al possibile, come libertà. Cecilia è, come le sue compagne, una fanciulla abbandonata dalla madre, forse il giorno stesso della nascita, nell’ospedale dove l’educazione musicale al canto e al suono degli strumenti permetterà un inserimento dignitoso nella società veneta settecentesca, come spose ben educate o insegnanti di musica.
Il mondo, nei suoi aspetti di quotidianità, di lusinghe, di piccoli dolori e piaceri, rimane fuori. Le fanciulle suonano e cantano non viste, dietro le grate; ignorano, perché non ne hanno fatto esperienza, le sfumature dei rapporti tra uomini e donne, come i colori della primavera o l’intimità di una vita familiare. È un mondo di musica quello delle ragazze, una musica che per Cecilia non è in grado di elevare i loro cuori, ma al contrario sembra cadere giù, pesante, su chi l’ascolta. Disperante peso, oppressione, angoscia: sono i sentimenti che ci vengono comunicati dal dialogo interiore di Cecilia. Perché?
Cecilia non riesce a dormire e durante la notte scrive alla propria madre. Parole dolorose, di amore e di odio, rivolte alla donna che non accogliendola, non riconoscendola, nega a Cecilia la possibilità di una identità. Ma non è sola la fanciulla nel suo accorato domandare: inquietante visione appare, nelle tormentate notti, la morte, la sua morte, perché senza amore, senza identità, senza libertà, rimane tangibile e reale solo la consapevolezza del vuoto e del nulla, il proprio annichilimento. Protagonista è la notte, il buio, pur nel timido affacciarsi della consapevolezza che il buio è solo apparenza, il vero sottofondo è la luce.
Tale è il dolore dell’assenza che quando la pietà di una suora mostra a Cecilia la metà strappata di un foglio raffigurante una rosa dei venti, trovato insieme alla neonata abbandonata, il cuore di Cecilia si apre alla speranza di un legame e di un messaggio rivolto dalla madre alla sua creatura. La struggente, universale aspirazione ad essere amati si rovescia, nel dialogo notturno che Cecilia rivolge alla madre per eccellenza, la madre di Gesù, in una forte, matura consapevolezza: quello che conta è voler bene, non riceverlo. Amare, non essere amati, verità che la morte stessa rivela nel disincanto del non aspettarsi niente da nessuno.
Ma la catarsi verrà dalla musica, attraverso il giovane nuovo insegnante: Antonio Vivaldi. Il maestro intuisce la straordinaria bravura di Cecilia come violoncellista, nonostante il suo tentativo di celarla per nascondersi, per non essere, e le indica la strada per un viaggio interiore nuovo. Cosa esprime la musica? Non le cose. Il miracolo è appunto nel fatto che le fanciulle fanno sentire ciò che non conoscono, la fatica del lavoro dei campi come lo stormire delle rondini, perché la musica rivela le idee che abbiamo delle cose, rivela noi stessi.
L’arte non imita, ma crea, fa essere. E attraverso l’arte Cecilia può diventare madre di sé stessa quando riuscirà ad esprimere con la propria musica suoni che accadono nell’animo di una donna, il suo concreto vissuto interiore, nutrito del dolore più difficile da accettare: il dolore dell’innocente. Solo allora il foglio strappato, eredità della madre, rivelerà il suo messaggio, indicazione per un futuro di autonomia riconosciuta, di identità e libertà.
TIZIANO SCARPA, nato a Venezia nel 1963, vive a Milano. È autore di numerosi romanzi tradotti in francese, spagnolo e tedesco. Nella Nota che segue a Stabat Mater, racconta di possedere duecento compact disc di Vivaldi e di sentirsi legato all’Ospedale della Pietà di Venezia per essere nato in quell’edificio.