La luce o le tenebre
Se leggiamo la Parola di Dio solo con la testa, non ne cogliamo tutta la ricchezza. Occorre mettere in attività tutto il nostro essere, anche i sensi. Nel nostro caso specifico, gli occhi. Giovanni (3, 14-21) ci mette davanti quattro immagini, a coppie: il serpente innalzato nel deserto e Gesù innalzato sulla croce (e nella risurrezione); la luce e le tenebre.
Le prime due immagini sono il segno del culmine dell’amore del Padre, che ci ha fatto dono del Figlio, perché abbiamo la vita eterna, cioè l’inserimento nel loro rapporto. Il Dono è senza condizioni, nella fiducia gratuita, a occhi chiusi: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (3,17). La croce dice solo amore. Chi arriva alla porta dell’inferno vi trova Cristo disteso – con le piaghe – che lo sfida: «Se vuoi entrare, devi passare sopra di me».
Chi entra, si condanna ostinatamente da sé. Fugge la luce e si immerge nelle tenebre. La luce può solo illuminare, rivela gli esseri nella loro verità. Davanti ad essa – la Luce che “è venuta nel mondo” – gli uomini si dividono in due categorie: chi l’accetta – chi “fa la verità” – “viene alla luce”, si trasfigura. Ricordiamo la bellissima immagine del libro della Sapienza, che descrive i giusti «come scintille nella stoppia correranno qua e là» (3,7).
Al contrario, «chi fa il male, odia la luce e non viene alla luce» (Gv 3,20). Il quadro dipinto da Giovanni non ammette mezzi toni o sfumature, è drammatico.
Eppure Gesù continua ad amare chi lo odia, fino alla porta dell’inferno.