La luce istantanea di Tarkovskij

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La luce è sempre stata la sua forma di scrittura prediletta. Con essa, attraverso il linguaggio cinematografico, Andrej Tarkovskij (1932-1986) ha dato corpo alla sua visione delle cose e del mondo, svelandone la bellezza interiore. In ogni inquadratura dei suoi film, le immagini condensano emozioni che, per la sapiente sintesi visiva, rimangono nella memoria. Ed è al valore della memoria e della nostalgia dell’armonia – definizione che lui stesso diede del suo cinema – che sono riconducibili tutti i suoi film. Un binomio che consente di dare in trasparenza una chiave di lettura unitaria dell’aspra e faticosa carriera del regista russo. L’infanzia della guerra, delle figure familiari (la madre), della separazione da loro (il padre), sono i motivi cui sono legati L’infanzia di Ivan e Lo specchio. Prove severe, come pure i successivi Andrei Rublev, Solaris, Stalker, Nostalghia; fino al suo testamento, Sacrificio. La nostalgia dell’armonia è quella del pittore Rublev, e quella dello storico dell’arte di Nostalghia – parola che in russo significa desiderare qualcosa in modo quasi malato. Ed è quella che spinge i due personaggi di Stalker, incarnazione dell’arte e della scienza in eterno insanabile conflitto, alla scoperta della misteriosa, inaccessibile Zona. Alla quale non accederanno mai, perché manca loro il coraggio, e manca la fede che esista davvero qualcosa da cercare e da scoprire al di là del visibile. All’invisibile, oltre l’inquadratura e l’ampio spazio a cui ogni dettadi glio si apre, ci invitano le sessanta immagini della mostra del Museo Cantonale d’Arte che ripercorrono un tratto dell’esistenza umana dell’artista russo, guidandoci in un affascinante viaggio interiore. Il suo intimo, sofferto itinerario, ha toccato tutti i momenti fondamentali dell’uomo. Dell’uomo di fronte alla storia e alla memoria, di fronte alla famiglia, di fronte allo sradicamento dalla patria, di fronte alla cultura e al dovere di trasmetterla senza barriere, e di fronte, infine, ai flagelli di un’epoca da superare unicamente e cristianamente, ancora una volta, col sacrificio. In tutti i miei film mi è parso importante sfor- zarmi di stabilire i legami che uniscono le persone… i legami che uniscono me, in particolare all’umanità se volete, e tutti noi con tutto ciò che ci circonda… Per me il cinema non è una professione, è la mia vita e ogni film lo considero un’azione nella mia vita, dichiarò Tarkovskij. E azione, poetica, fu anche la fotografia a sviluppo istantaneo, la Polaroid, che lo accompagnò nell’ultimo periodo della sua opera: in Russia quando, poco amato e visto con sospetto dalle autorità sovietiche, maturò nel 1980 la decisione di lasciare per sempre la patria; e nei successivi vagabondaggi dell’esilio in Italia. Le sessanta Polaroid inedite presentate formano un diario visivo struggente che ci fa entrare nei luoghi e nei gesti quotidiani, nei volti amati, nei paesaggi e nei riferimenti pittorici del suo percorso creativo. Pur nella dimensione ristretta dell’inquadratura, scaturisce tutta la forza e tutta la dolcezza della luce che le ha plasmate attraverso gli occhi e il cuore del loro autore, chiedendo l’umile gesto di avvicinarsi e chinarsi con attenzione su di esse , scrive nella presentazione Giovanni Chiaramonte. Vediamo allora la luce lieve e diffusa, che avvolge come nebbia i campi attorno a Mjasnoe dove vigila il fedele cane Dak; quella bassa e radente che sale dall’erba del bosco e immerge in un’aureola la figura della moglie Larisa sulla soglia della casa di campagna. Potente è il taglio di luce che si riflette da una valle nel Lazio, o della facciata di una chiesa sulla vasca di Bagno Vignoni, in Toscana. È una luce netta quella che, invece, penetra nell’oscurità delle stanze, rivelando l’immobi- lità e la quiete delle cose – i fiori nei vasi, l’acqua nella brocca, la frutta sui piatti, le sedie nei corridoi – e la quiete delle persone: la moglie, il figlio Andrei, l’attore Solonitzyn, l’amico e sceneggiatore Tonino Guerra intento a scrivere, o assorto dentro una chiesa.Atmosfere e momenti per fermare il tempo con la consapevolezza che tutto è fatto di sguardi fuggevoli da tenere accanto per un viaggio che ha respiri affannati, scrive quest’ultimo. E conclude: La malinconia di vedere le cose per l’ultima volta è la sostanza più misteriosa e poetica che ci lasciano queste immagini. Come se Tarkovskij volesse portare rapidamente il proprio godimento ad altri. Insomma pane da mangiare assieme e non soltanto per sfamare la sua voglia di incantamenti. E ti regalano anche il profumo di un tenero addio.

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