La luce della metropoli

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Acavallo tra Ottocento e Novecento tanti piccoli paesi si trasformano in metropoli e subito la città diventa uno dei temi più affascinanti agli occhi delle avanguardie storiche. Ogni artista sente l’imperativo di volgere il proprio sguardo al nuovo volto che la città sta assumendo e, selezionando e dipingendone un particolare aspetto, contribuisce alla costruzione di una nuova icona della metropoli, e con essa sussurra o grida la condizione stessa dell’uomo che vi abita. Kirchner, capofila degli Espressionisti, non avverte la città come un luogo piacevole. Gli incroci dei grandi viali disegnano spigoli violenti e insidiosi. In uno spazio invivibile l’uomo è condannato a disorientarsi o a sparire come una silhouette precaria e incerta. Il suo Lungo ponte sul Reno ricorda il nome scelto per il gruppo di amici ed artisti da lui fondato, ma l’ottimistico passaggio verso il nuovo che vi era sotteso sembra cedere il passo ad un cambiamento troppo violento. L’incontro con il nuovo diventa scontro e la prospettiva vertiginosa di questo ponte galattico inghiotte lo spettatore senza lasciargli scampo. Siamo trascinati in uno spazio dove gli uomini corrono senza incontrarsi mai, quasi costretti a scivolare velocemente su quei piani troppo inclinati. Anche il grazioso rosa di una figurina con un ombrellino non può che trasformarsi in una presenza aliena. Un cambio di prospettiva si ha nell’ottica cubista: Picasso sembra subire la seduzione dei grandi manifesti pubblicitari che rattoppano di colore i muri parigini. Nella monocroma città fatta a pezzi dalla nota scomposizione cubista, la grande bottiglia verde di Pernod, l’insegna rosa di Leon e il cubo giallo (che vuol essere il dado da cucina) avanzano con prepotenza imponendosi come le uniche note leggibili del quadro. La vivacità cresce sulle forme di un altro cubista che per l’arrotondamento cui sottopone i volumi viene soprannominato tubista. Per Lèger la nuova città è quasi un circo pieno di colori e forme stimolanti che rendono l’uomo libero di vivere, saltare e giocare come un saltimbanco. Ma la parte del leone tocca indubbiamente ai Futuristi che vedono nelle nuove metropoli, in particolare in quella milanese, la concretizzazione dei loro ideali di progresso. In un bozzetto della celebre Città che sale di Boccioni, lo stesso cavallo inarrestabile che simboleggia il progresso perde le proprie sembianze, tanta è la velocità e l’energia che sprigiona. Non ne resta che la luce e il colore, vano quindi il tentativo dell’uomo di arrestare questa furia al galoppo; l’unico modo per affrontarla è quello di assecondarla lasciandosi trascinare da quella forma di pura energia. Tra le più belle opere è sicuramente Visioni simultanee. La donna affacciata al balcone sem- bra incarnare quell’energia acclamata dai futuristi; il suo volto si presenta contemporaneamente di profilo, al terrazzo, e di fronte, proiettato sulle case. La strada con i passanti penetra nella testa, mentre il volto avanza fra gli alberi e i palazzi. Una visione dell’uomo completamente compenetrato e integrato con la città. La stessa legge sulla relatività della materia regola l’uomo e le cose: tutto sembra fatto della stessa materia mutante e sfuggente ma, agli occhi dei futuristi, pare proprio questa la prospettiva più congeniale alla condizione umana. Anche per Russolo, compagno di viaggio di Boccioni, l’uomo è dotato della stessa forza propulsiva che sembra scuotere la città del progresso. Il suo uomo fa breccia nella metropoli con la forza di un super-eroe; il suo movimento prende la forma di una freccia e il rosso acceso di una dardo lanciato ad accendere la città di nuovo furore. Più discreta e piacevole la visione di Severini, il nostro futurista a Parigi. Della città sopravvivono solo le scritte delle insegne e qualche quadratino ad indicare una finestra; il resto si è ormai trasformato in un’entusiastica festa di colori puri. Una città che si intuisce appena, ma che si capisce promettere la gioia a chi vi vuole abitare. E ancora gli hôtel, le ruote panoramiche, le figure misteriose che in controluce ammiccano da un locale notturno; una giostra di colori, forme, ma soprattutto luci. Bagliori cittadini che di notte brillano ancor di più, quasi a voler diventare delle stelle capaci di offrire una rotta e un orientamento fra le molteplici prospettive che le metropoli di inizio secolo propongono all’uomo.

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