La lotta di Susana
Si chiama Susana Trimarco e vive in Argentina. La sua storia comincia dieci anni fa, quando la figlia Marita, mamma di una bambina di due anni, d’improvviso sparisce. Era andata dal ginecologo per una consulta, ma non era più ritornata a casa. Siamo a Tucumàn, nel nord argentino. Questa città a mille chilometri da Buenos Aires è denominata il “giardino della Repubblica”, per la bellezza esuberante della sua natura. Inverni brevissimi, estati torride con temperature fino a 50 gradi. Vi imperversa una rete di prostituzione che adesca ragazze un po’ dappertutto. Ed i sospetti di Susana si appuntano proprio su questa rete, che si avvale della complicità di pacifici negozianti, vicini insospettabili e poliziotti protetti dall’ uniforme.
Le ragazze vengono poi smistate in altre località, dal sud al nord del Paese, magari in remoti localini dove si va a bere un bicchiere di wisky, per poi passare sul retro dove sono prigioniere ragazze adescate con la promessa di un posto di lavoro o col sogno di diventare fotomodelle. Private dei documenti se straniere, vengono brutalizzate, vessate e minacciate se non compiacciono i clienti. E questi, se si può essere più inumani, rimangono sordi alle suppliche delle sequestrate che magari chiedono di denunciare la loro situazione. Mesi addietro, ci volle un bel po’ prima che una giovane paraguayana riuscisse a commuovere un cliente e a denunciare l’incubo nel quale era rimasta invischiata.
Nelle provincie, dove si suppone che tutto dovrebbe essere più difficile da celare, nessuno parla. A Rio Gallegos, nel profondo sud, lo sapevano tutti che dietro la stazione degli autobus il quartiere era colmo di bar con annessi locali sul retro dove ci sono le prostitute. In quella città non ci sono cinema. Ed anche i gruppi di amiche che hanno voglia di ritrovarsi per un the o per fare quattro chiacchiere si recano in quei bar dove sul retro a pochi metri sono sfruttate altre donne come loro.
C’è voluta l’azione di una Ong e del vescovo locale per mettere in evidenza all’opinione pubblica questo scandalo. La complicità della polizia è un elemento chiave per chiudere un occhio, in cambio di un buon compenso economico, o per neutralizzare qualche denuncia che riesce a sfuggire alle maglie degli sfruttatori. È già successo che qualcuna sia riuscita ad evadere, ma sia poi finita nel commissariato sbagliato, ed invece di essere liberata è ricascata nella stessa rete. Qualcun’altra non potrà nemmeno più raccontarlo e forse nemmeno se ne ritroverà il corpo.
Susana ha fatto di tutto per ritrovare sua figlia. Si è fatta passare per prostituta, ha frequentato bordelli da quattro soldi pur di ricostruire la rete che adesca tante ragazze illuse. Spesso è riuscita a liberare decine di ragazze. Per questo ha creato la Fondazione Marìa de los Angeles (Maria degli Angeli) che ne ha riscattate 600 in tutto il Paese. Tante, ma nessuna di esse era la sua Marita. Lei intanto continua la sua battaglia. Non si ferma. Il Dipartimento di Stato Usa ha riconosciuto il suo valore col premio “Donna coraggiosa”, nel 2007. Il Senato argentino l’ha insignita col premio “Domingo Faustino Sarmiento”.
Ma la notizia più attesa, quella del ritrovamento di sua figlia non arriva. Se è ancora viva, è obbligata a prostituirsi. Nel frattempo è cominciato il processo contro 13 imputati della rete di tratta di bianche. Davanti al tribunale sfileranno 180 testimoni. Molti hanno visto la sua Marita. Susana ha fede: nella giustizia, dalla quale spera una sentenza che metta fine a questo traffico atroce, ed in Dio. Per questo invita alla messa che si celebra nella storica chiesa di Nuestra Senora de la Merced “affinché si arrivi alla verità”.
Grazie alla sua lotta, nel 2008 è stata varata la legge che stabilisce che la tratta delle bianche è un delitto federale, anche se le ong stanno cercando di modificarne il testo con qualche incompletezza. Sarà interrogata anche Susana, nei prossimi giorni. E si prevede che avrà molto da dire. Dopo tanto silenzio ed omertà, i fari sono oggi puntati su questo squallido traffico. La lotta di Susana non è stata invano.