La lotta all’evasione tra esigenze di controllo e aspettative di semplificazione: scelte inconciliabili o possibile percorso virtuoso?

Germano Pellegrino

Alla luce dell’attuale dibattito sui temi fiscali, appare in tutta la sua attualità il monito di Einaudi:

 

«La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco»,

 

e ancora:

 

«Uomini attivi e laboriosi e capaci a creare ricchezza sono numerosi in Italia. A metterli in valore urge abolire tutte le manomorte tributarie, urge non creare manomorte nuove, urge sostituire al barocco vigente imbroglio di balzelli multicolori, un sistema semplice chiaro, il quale sia di stimolo e non di remora a chi lavora e produce».

 

Queste osservazioni, vecchie di almeno sessant’anni, testimoniano che i temi fiscali costituiscono materia di un dibattito perennemente aperto nel panorama legislativo italiano. E non tanto o non solo perché le politiche fiscali rappresentano anche un importante strumento di politica economica nelle mani di ogni esecutivo, ma piuttosto perché il diritto tributario italiano, già prima della storica riforma degli anni ’70 del secolo scorso e sino ai giorni nostri, si è diviso tra strumenti ­– a volte più di forma che di sostanza – di contrasto all’evasione e all’elusione, e l’esigenza di semplicità e razionalità del sistema rivendicata dai contribuenti.

Ma – a parte brevi parentesi di dialettica più vivace – le questioni fiscali costituivano di solito materia riservata agli addetti ai lavori, o  argomento di dibattito tra i partiti politici durante le campagne elettorali, o di rivendicazione sociale in mano a sindacati ed associazioni di categoria in occasione di negoziati sul lavoro o sulle politiche economiche; per buona parte dei cittadini gli stessi argomenti venivano colti con un senso di rassegnazione o indifferenza.

Invece in questi mesi di crisi economica la “questione fiscale” ha assunto un ruolo sociale via via più significativo, diventando intollerabile ai più, in tempi di ristrettezze e sacrifici, la presenza di sacche di fraudolento privilegio, a scapito dei moltissimi che, per scelta o ineluttabilità, pagano per intero i loro tributi allo Stato.

Spot televisivi e campagne mediatiche pongono proprio l’accento sui principi costituzionali di uguaglianza (art. 3) o capacità contributiva (art. 53), evidenziando – si potrebbe dire –l’equilibrio del contratto Stato-cittadino, nel reciproco incontro di diritti e doveri (sinallagma).

Ma se da un lato questo dovere imposto ai cittadini ha necessità di trovare equità e giustizia, dall’altro lo Stato deve riuscire a mostrare doti virtuose di impiego delle risorse pubbliche, che si traducano in servizi efficienti, trasparenza, fruibilità, ecc.; temi questi, come quello della tax compliance (il rispetto delle regole, l’adempimento spontaneo degli obblighi e adempimenti tributari), che potrebbero essere oggetto di altra analisi.

Ciò su cui si vuole qui porre l’attenzione è la valutazione sull’incisività, la necessità, la ragionevolezza degli interventi legislativi in cantiere, in rapporto con gli obiettivi posti, o se essi invece si mostrino insufficienti o sproporzionati, o semplici bandiere sventolate per mostrare buoni intenzioni.

Nei giorni scorsi era stata ampiamente annunciato che l’abbassamento delle tasse si potrà valutare solo dopo la c.d. spending review, vale a dire la ricognizione, peraltro assai difficile, dei conti dello Stato alla luce dei risultati delle recenti manovre economiche. Alcuni punti fermi sono comunque costituiti dalla consapevolezza che nell’immediato non vi è da attendersi alcun intervento di alleggerimento del prelievo fiscale, che il tema dei conti pubblici e del loro controllo non consente distrazioni o leggerezze, che un taglio fiscale attuato dopo pochi mesi dal gigantesco intervento di correzione di finanza pubblica verrebbe fortemente osteggiato da Bruxelles e dai mercati. Ci si attendeva invece l’istituzione del Fondo taglia tasse ove far confluire i proventi della lotta all’evasione fiscale, per destinarli ad interventi di sostegno per le fasce di reddito più basso e di aiuti alle famiglie. È noto che il Governo ha deciso di rimandare il provvedimento, considerando impossibile «varare un fondo senza poterlo quantificare, solo per annunciare che in futuro sarebbero state ridotte le tasse», evitando così di esporsi su stime che potrebbero rivelarsi illusorie. Certamente l’obiettivo di restituire potere d’acquisto alle famiglie italiane sta diventando un atto dovuto, in quanto si tratta di un fattore costantemente eroso dalla progressività dell’imposizione fiscale e dall’aumento del costo della vita; senza dimenticare la necessità di aggiornare detrazioni e parametri per i familiari a carico.

Lo stesso Consiglio dei Ministri del 24 febbraio ha (ri)affrontato congiuntamente il tema delle norme anti evasione e della semplificazione. Temi che potrebbero apparire in antitesi, o comunque spesso difficilmente conciliabili. Gli strumenti di contrasto all’evasione finiscono infatti, spesso, per incidere pesantemente su cittadini e imprese, sia per quanto riguarda l’introduzione di adempimenti formali a carico degli stessi (elenco clienti, questionari, autorizzazioni subordinate alla presenza di regolarità contributiva, ecc.), sia per l’introduzione di limitazioni a libertà personali o patrimoniali (si pensi al limite all’uso del contante, o alle restrizioni sull’esportazione di capitali, o alle norme in tema di monitoraggio dei conti correnti bancari e alla loro ormai piena “consultabilità” da parte degli Organi di controllo, con presunzioni legali che prevedono l’inversione dell’onere probatorio a carico del controllato), sia per l’utilizzo su larga scala di strumenti di controllo presuntivi (studi di settore, “spesometro”), che rischiano a volte di pregiudicare pesantemente il diritto alla difesa da parte degli onesti; si tratta inoltre di strumenti e provvedimenti spesso associati a pesanti sanzioni a carico di inadempienti o contravventori.

Si sta poi cercando di intessere quella che è stata definita l’alleanza virtuosa tra Agenzia delle Entrate e Comuni per la lotta all’evasione fiscale, che, di fatto, rappresenta un invito alla denuncia di situazioni di evidente incongruenza tra tenore di vita e reddito, tra apparenti manifestazioni di ricchezza (e quindi capacità contributiva) e posizione fiscale, puntando ad un controllo più diffuso sul territorio in materia preventiva e con effetto deterrenza.

Dal lato (apparentemente) opposto, si pongono le norme sulle semplificazioni: la necessità di intervenire sullo sfoltimento di normative spesso stratificate e sovrapposte, l’eccessivo costo sociale di adempimenti parzialmente inutili, l’esigenza di razionalizzare l’assolvimento degli obblighi fiscali abbandonando formalismi a privilegio della sostanza.

Al di là (ma anche grazie) delle azioni messe in atto, par di cogliere tra gli italiani, (paradosso della contingenza economica negativa, che può creare ricadute virtuose), lento lento, un processo di vera maturazione sociale, un certo sfaldarsi di posizioni omertose, una crescita della cosiddetta cultura della legalità, che rappresenta l’humus indispensabile – anche sul piano giuridico – per intervenire in modo fermo, serrato, costante, incisivo, nella lotta all’evasione fiscale, finalmente percepita con più diffusa consapevolezza quale odiosa fonte di ingiustizia, il cui contrasto può generare risorse a sostegno dell’intera società civile. In tale nuovo contesto la reputazione fiscale potrebbe assumere un più alto valore civile, ponendosi in contraltare con una possibile esclusione sociale a carico del contribuente meno fedele, innescando un circolo virtuoso di crescita, non solo economica, dell’intera Nazione.


Germano Pellegrino, dottore commercialista in Boves (CN)

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