La lotta alla diseguaglianza non è uno spot
È relativamente recente la scelta delle Nazioni unite di istituire, dal 1992, il 17 ottobre come giornata mondiale del rifiuto della miseria. Rifiuto è un termine più forte di “lotta”, rimanda agli abolizionisti della schiavitù. Questo aveva in mente padre Joseph Wresinski nel pronunciare l’appello dalla piazza del Trocadero, a Parigi, davanti a oltre centomila persone: «Laddove gli uomini sono condannati a vivere nella miseria, i diritti dell'uomo sono violati. Unirsi per farli rispettare è un dovere sacro».
Era il 1987 e la storia di questo prete, figlio di rifugiati polacchi in Francia, permette di comprendere la visione profetica che promuove il movimento ATD Quarto Mondo, nato dall’esperienza dei senzatetto della capitale d’Oltralpe, capaci di autorganizzarsi per rispondere a un destino di esclusione. «La cosa peggiore, quando si vive nella grande povertà, è il disprezzo, il fatto che vieni trattato come se non vali nulla, che vieni guardato con paura e disgusto e che vieni trattato addirittura come un nemico. Noi e i nostri figli facciamo questo tipo di esperienza tutti i giorni e questo ci ferisce, ci umilia e ci fa vivere nella paura e nella vergogna». Questa testimonianza di un attivista di ATD, riportata da Claudio Calvaruso, presidente della sezione italiana del Movimento fondato da Wresinski, permette di entrare nel cuore del dibattito aperto sul permanere della povertà e della sua crescita inquietante nei Paesi cosiddetti avanzati.
Proprio il 17 ottobre la Caritas italiana presenta il rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale ribadendo i numeri inquietanti che parlano di oltre 4 milioni e mezzo di persone che si trovano intrappolate in una condizione di grave insussistenza. Dalle prime anticipazioni colpisce il dato del Mezzogiorno, dove gli italiani che superano i migranti nell’accesso ai centri di ascolto predisposti dalla grande realtà caritativa della Chiesa italiana. In linea con l’impegno assunto nel cartello di associazioni dell’Alleanza contro la povertà, la Caritas ritiene che «l’unica strada percorribile è quella di un Piano Pluriennale di contrasto alla povertà che porti alla introduzione nel nostro Paese di una misura universalistica, il reddito di inclusione, contro la povertà assoluta».
La misura del Sia (sostegno inclusione attiva) introdotta nel 2016 per alcuni nuclei familiari in stato di estremo bisogno è solo un primo passo insufficiente così come anche un incremento di risorse nella legge di bilancio 2017 non potrà raggiungere con un reddito di emergenza (massimo 400 euro al mese per famiglia) tutte le persone in condizioni di povertà assoluta. Insomma, non è tempo di fare proclami propagandistici ma di verificare la volontà politica di portare avanti un piano coerente nel tempo senza dimenticare che il reddito di inclusione deve associarsi a «politiche del lavoro tese a contrastare la disoccupazione perché, come ricorda papa Francesco, "quando non c’è lavoro a rischiare è la dignità, perché la mancanza di lavoro non solo non ti permette di portare il pane a casa, ma non ti fa sentire degno di guadagnarti la vita!”».
Questa osservazione ci riporta al tema della “powertà” affrontata di recente a Loppiano Lab. Ad esempio l’economista Luigino Bruni è molto critico verso le soluzioni incentrate sulle diverse forme di sostegno al reddito dei più poveri e anche «il reddito di cittadinanza, ad esempio, non basta e può anche essere fuorviante: la Costituzione parla di lavoro per tutti, non di reddito per tutti. Se oggi dessimo solo reddito ai nostri disoccupati, metà finirebbe in gratta e vinci e slot». Per l’esponente tra i più noti dell’economia civile, bisogna colpire le rendite e premiare chi crea lavoro perché «in un mondo cambiato occorre un grande piano per tornare a lavorare, soprattutto per i giovani ma non solo questi». Il nodo costituzionale del lavoro emerge da tante dolorose vicende italiane come, ad esempio, l’ultimo annuncio della società informatica Almaviva di licenziare 2.500 dipendenti tra Roma e Napoli. Come si risponde a queste crepe che si aprono nella vita delle persone con responsabilità familiari e un’età tale che non favorisce il reimpiego? Il sostegno del reddito, tra ammortizzatori sociali e nuove integrazioni, è necessario per non finire sul lastrico, ma la via di uscita resta una buona e dignitosa occupazione come dimostrano le esperienze in crescita delle imprese recuperate dagli stessi dipendenti destinati, altrimenti, a perdere il lavoro.
Secondo Giuseppe De Marzo, portavoce della campagna per il reddito di dignità promossa da Libera e Gruppo Abele, proprio «il progressivo deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro ha contribuito in maniera determinante all'aumento vertiginoso delle diseguaglianze, colpendo soprattutto giovani e donne. Instabilità lavorativa e precarietà sono tra i principali fattori che generano i maggiori svantaggi distributivi».
Di fronte a tale situazione, secondo De Marzo, la nostra spesa sociale resta tra le più basse d'Europa e, nonostante i tagli, il debito pubblico continua a crescere offrendo l’immagine di «una politica rassegnata all’idea che non sia obbligo della Repubblica combatterle e rimuoverne le cause, ma sempre più preoccupata a convincerci che il welfare rappresenti ormai un lusso che non possiamo più permetterci».
Per il governo Renzi, invece, il disegno di legge povertà varato dall’esecutivo e confermato con la legge di stabilità per il 2017 rappresenta la «prima misura organica della storia repubblicana contro la povertà approvata oggi in prima lettura: 1,6 miliardi in 2 anni». Un importo diverso dai 17 miliardi richiesti dalla campagna per il reddito di dignità ma tale, secondo l’economista Tommaso Nannicini, sottosegretario alla Presidenza del consiglio, da mettere le basi per un piano organico che verrà definito nel 2017. Bisognerà invece attendere il 2018 per l’esame del fattore famiglia, il criterio di equità fiscale necessario per fermare l’impoverimento dei nuclei familiari con figli destinati a crescere in un Paese dove ci sono 3,5 milioni gli under 35 che non studiano e non lavorano.
Lavoro, reddito, povertà e diseguaglianze crescenti nell’Italia dove aumenta, anche il numero dei milionari: dai 218 mila del 2014 ai 228 mila del 2015, secondo vari indicatori come il rapporto World Wealth Report 2016 della società di consulenza Capgemini.
Su questi e altri fatti cerca di offrire percorsi di analisi e approfondimento il dossier Povertà pubblicato da Città Nuova