La Libia tra guerra e migranti

A otto anni dalla destituzione di Gheddafi, il caos la fa da padrone nel territorio libico, che soffre di conflitti tribali e della rivalità tra Haftar e al-Sarraj. Con il grave problema della vasta ondata umana che, dall’Africa subsahariana, giunge al Mediterraneo. E l’Italia?

Nella notte di martedì 2 luglio due bombe hanno colpito un centro di detenzione per migranti a Tajoura, alla periferia orientale di Tripoli, in Libia. Non si sa chi le ha sganciate, e forse erano destinate a una vicina postazione militare. Nella prigione erano presenti almeno 600 persone, ma le esplosioni hanno coinvolto un hangar in cui si trovavano circa 150 profughi provenienti da Eritrea, Sudan e Somalia.

Il governo di Tripoli, nel cui territorio si trova Tajoura, parla di 53 morti e 130 feriti. A Tripoli e dintorni, nella zona attaccata dalle milizie del generale Haftar e difesa dalle formazioni fedeli al governo di al-Sarraj, ci sarebbero almeno 3 mila profughi, quasi tutti africani, ammassati in una ventina centri di detenzione, solo alcuni al di fuori della zona contesa, dove ci sarebbero altre 2 mila persone (fonte Oim) nelle stesse condizioni. Ma secondo altre informazioni, i profughi ammassati nella zona dei combattimenti non sarebbero 3 mila bensì almeno 6 mila. Fra loro anche i circa 3 mila migranti intercettati in mare nei primi sei mesi di quest’anno dalla Guardia costiera libica, e riportati nei centri di detenzione.

La prima speranza di tutti questi 5 mila (o 8 mila) profughi è di sopravvivere ai ricatti dei carcerieri, alla fame, alle malattie, alle botte, alle torture e agli stupri, oltre che alle bombe. La seconda aspirazione è andarsene il più lontano possibile dalla Libia senza incappare nella Guardia costiera che li riporterebbe nell’inferno. La terza aspirazione è arrivare in Europa: in qualsiasi posto, in qualsiasi modo, a qualsiasi costo, basta rimanere vivi.

Subito dopo il bombardamento di Tajoura, il governo di Tripoli aveva dichiarato che «sta valutando la chiusura di tutti i centri di detenzione dei migranti e il rilascio di tutti i detenuti in Libia, con l’obiettivo di garantire la loro sicurezza», come riportava The Libya Observer. Una settimana dopo l’attacco, il premier al-Serraj ha dato parziale seguito all’annuncio liberando i 350 migranti sopravvissuti al raid aereo di Tajoura, che avevano indetto uno sciopero della fame e si rifiutavano di rientrare negli hangar dove erano stati detenuti. L’Unhcr ha dato la sua disponibilità ad assistere i migranti liberati. Non si sa dove e se verranno trasferiti. Il gesto di al-Sarraj è politicamente difficile da inquadrare se non come una sfida nei confronti di Haftar, che aveva accusato Tripoli del massacro. Il governo libico ritiene invece responsabile Haftar del bombardamento del 2 luglio sul centro di Tajoura.

Ma qual è oggi la situazione in Libia? Intanto è utile ricordare che il caos libico di oggi è la diretta conseguenza dell’intervento Nato del 2011: con il solito pretesto di abbattere una dittatura (di Gheddafi) si è distrutto il Paese per poi tirarsi fuori in attesa di approfittare della situazione. Dopo 8 anni di caos tribale e infiltrazioni salafite e jihadiste, oggi c’è una sorta di governo a Tripoli, presieduto da Fayez al-Sarraj, riconosciuto da Onu e Ue (Italia compresa). E c’è un signore della guerra a cui questo governo non va bene: è il 75enne generale Khalifa Haftar che comanda un auto-proclamato Lybian national army (Lna). In aprile, Haftar ha dato il via ad un attacco militare in grande stile per eliminare al-Sarraj e i suoi sostenitori, con l’intento esplicito di diventare l’unico raïs libico. Per quanto l’Lna controlli oggi oltre tre quarti della Libia (parte dell’ovest, tutto l’est e il sud), la sua avanzata è stata fermata a Gharyan dalle forze che sostengono al-Sarraj.

Ma ciò che conta è, purtroppo come in Siria, che intorno ai due schieramenti c’è una folla di sostenitori e fornitori di armi e denaro. E se i sostenitori espliciti di Haftar sono l’Egitto, i sauditi e gli emiratini, ci sono di mezzo pur senza ammetterlo anche Usa e Francia, che sembra non stiano solo a guardare. Tanto più che dall’altra parte, accanto ad al-Sarraj e al governo di Tripoli, ci sono i Fratelli musulmani e quindi Turchia e Qatar. Una polarizzazione dalla quale sembra impossibile uscire se non con le armi.

E l’Italia? Una Libia in pace potrebbe essere un ottimo partner dell’Italia per le forniture energetiche. Invece, pur riconoscendo al-Sarraj, il governo italiano sembra non voler considerare l’inaffidabilità della Guardia costiera libica e la sua collusione con i trafficanti di uomini; ma non ha neppure mostrato adeguate capacità di promuovere accordi a livello internazionale per fermare il conflitto né lungimiranza per aprire. in sinergia con l’Ue. un approccio nuovo al complesso e inarrestabile fenomeno dei migranti. A Roma, per ora, sono troppo occupati a fare guerra alle navi delle Ong per pensare ad altro.

 

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