La Libia e le armi italiane
Appello della Tavola della pace e Rete italiana disarmo per il congelamento delle forniture dell’Italia al Paese nordafricano
Le accuse lanciate, ieri via video dal leader libico Gheddafi all’Italia a proposito della fornitura d’armi ai ribelli che hanno provocato sconcerto e reazioni sono certamente infondate sui destinatari, non lo sono sul fornitore. Poiché l’Italia è secondo le fonti della Rete italiana disarmo, il primo paese europeo e forse nel mondo a fornire armi alla Libia, solo che a imbracciarle non sono tanto gli insorti, ma l’esercito regolare. E mentre a Tripoli la repressione della rivolta popolare non si pone alcun limite nell’uso della forza, ricorrendo persino ai bombardamenti aerei sui civili, con armamenti probabilmente made in Italy, negli Emirati Arabi si sta svolgendo “Index 2011”, la grande fiera espositiva del settore Difesa e sicurezza rivolta ai Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.
Di rilievo la presenza delle aziende italiane tra cui in prima linea il gruppo Finmeccanica, che ha come primo azionista il governo italiano con la quota del 32,5 per cento, seguito dal Lybian Investment Authority, fondo sovrano del governo libico che possiede una quota del 2,01 per cento, destinata ad arrivare al 3 per cento, quota che consentirebbe il biglietto di ingresso nel consiglio di amministrazione.Con dati alla mano, da quando nel 2004 l’Unione Europea ha revocato l’embargo totale verso il Paese nordafricano, l’Italia ha esportato armi per un valore di 15 milioni di euro, nel 2006 mentre nel 2010 si è arrivati a ben 250 milioni. L’impennata si è registrata dopo il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione, siglato nell’agosto 2008 che ha dedicato l’intero articolo 20 al settore Difesa e industrie militari.
Come fa notare Giorgio Beretta di Rete Italiana disarmo «occorre saper leggere dentro i numeri dei vari contratti conclusi con il governo di Gheddafi: ad esempio ci sono i 2,2 milioni di euro “per ricambi e addestramento” dei velivoli F260W dell’Alenia Aermacchi, 250 modelli utilizzati in Europa a livello di addestramento ma facilmente convertibili in funzione armata con compiti di bombardamento». Secondo il rapporto della Rete, poi, alcune di queste commesse acquisite dalla Libia sarebbero state cedute nel 2006 alle forze armate del Ciad proprio per operazioni di guerra area sulle frontiere con il Sudan.
Una crescita nel flusso di armamenti si registra anche nel settore di quelle che vengono definite armi da fuoco di tipo non militare ( per uso sportivo, di difesa e da caccia) in cui l’Italia detiene il primato di esportatore nel mondo. Armi che però il precedente segretario generale dell’Onu, Kofi Annan definì “armi di distruzione di massa” perché molto utilizzate nei conflitti e facili da esportare verso luoghi di conflitto conclamati. Gli ultimi dati certificati parlano di un incremento dell’export di questi prodotti verso la Libia per una cifra pari 6 milioni di dollari solo nel 2009. Valori che risultano anomali se confrontati ad altri Paesi come gli Emirati Arabi Uniti, che con una popolazione pari a metà della Lombardia ma importa armi di tipo “non militare” per 2 milioni di dollari.
Gli studi del centro di ricerche internazionali Archivio Disarmo confermano un sodalizio solido tra Libia e Italia nel settore armamenti, soprattutto negli ultimi dieci anni, durante i quali si sono definiti progetti di collaborazione tra varie aziende dei due paesi che operano in questo settore. I nomi che ricorrono insieme a quello di Finmeccanica sono Augusta Westlands, la Itas che cura il controllo tecnico e la manutenzione dei missili a lunga gittata antinave Otomat e la Lybian Italian Advanced Technology Company, una vera e propria joint venture. Le rivolte e la conseguente repressione con un numero di vittime destinato a superare le mille finora accertate, ha immediatamente provocato un nuovo appello della Tavola della pace e della Rete italiana disarmo che chiedono con insistenza che «le armi italiane non debbano essere utilizzate per mantenere al potere regimi impopolari e che non da oggi si sono resi protagonisti di diverse politiche che violano i diritti umani». La speranza è che non rimanga un ulteriore proclama di intenti, ma che il sangue di questi giorni susciti prese di posizioni e azioni forti a favore della pace, stavolta disarmata.
Per visualizzare l’appello vai su www.www.disarmo.org/rete/a/33422.html