La libertà e Maria
Cosa significa somigliare a Dio, essere Dio?
Vorrei dedicare queste riflessioni al concetto di libertà, che ritengo fondamentale per comprendere chi realmente è l’uomo e il senso della sua vita e del cosmo intero.
Ci introduce ad esse una frase di Genesi 1, 28, estremamente densa di significati nella sua lapidaria sinteticità: «E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza”». Così creato l’uomo, Dio lo pose nel Paradiso di delizie perché sperimentasse la sua capacità di essere come Dio. Ma, per poterla sperimentare, era necessario che egli potesse anche opporsi a Dio, che potesse quindi sperimentarla anche negativamente. E, di fatto, l’uomo giunse a tanto. «Il Signore Dio disse allora: “Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male”» (Gn 3, 22).
L’uomo, dunque, «è diventato uno di noi» perché ha sperimentato creaturalmente la libertà, ha cioè sperimentato la possibilità di una relazione con Dio che nella creatura si può dare anche nella forma di opposizione e non di amore, di allontanamento e non di ritorno a lui. E, poiché Dio è il termine infinito di tutto l’agire umano, ogni atto dell’uomo, sia esso verso Dio o contro Dio, diventa, per ciò stesso, di valore infinito.
Ma cerchiamo di penetrare più in profondità cosa significa essere come Dio.
Generalmente si ritiene che ciò consista nel fatto che l’uomo è dotato di spirito che lo rende immortale, oppure per il suo essere intelligente, capace di volere e di amare.
Simili risposte non mi sembrano esaustive e, in realtà, è guardando al Dio Uni-trino che si schiudono altri orizzonti di comprensione, più vasti e più profondi.
Dio è il Padre che si dona totalmente nel Figlio, il quale si ridona totalmente a lui. E il loro reciproco amore – la relazione che li unisce fra loro – è lo Spirito Santo.
Essere simili a Dio significa allora vivere con lui questa stessa dinamica trinitaria.
Noi, al pari di tutte le creature, siamo chiamati all’essere da Dio, così come, pur se in altro modo, il Figlio dal Padre, e, proprio perché sue creature, tendiamo a ritornare a lui in un rapporto d’amore. Eppure, questo ridonarsi, anche totale, della creatura a Dio non esprime ancora compiutamente la sua capacità di essere simile a lui. Un tale modo di essere non giunge infatti fino a «ridare» Dio a Dio, come è invece nella Trinità. Lì il Padre è Padre perché genera il Figlio. In altri termini, l’essere Padre viene determinato dalla relazione di figliolanza, cioè dal fatto che è il Figlio a far sì che il Padre sia Padre.
Anche a noi, allora, creati «a somiglianza» di Dio, doveva essere data la possibilità di «generare» Dio, cioè di ritornare a lui come creature veramente capaci di essergli simili, affinchè, fatti pienamente partecipi della vita trinitaria, “diventassimo” Dio.
Questa possibilità ha preso forma in terra, in un dato momento della storia, in Maria. Ella è la creatura che è stata fatta capace di generare nella carne il Verbo, la seconda Persona della Trinità.
Dobbiamo intendere questa prerogativa di Maria in tutta la sua straordinaria densità, che la rende unica fra tutte le creature. Maria, essendo Madre di Gesù, è Madre dell’unica Persona del Verbo, cui ella dona la natura umana, che in lui si unisce in una unione profondissima e perfetta – «senza divisione» e «senza confusione», afferma il Concilio di Calcedonia – con quella divina.
Maria è quindi, in senso vero e proprio, Genitrice di Dio. Tanto Dio ha potuto realizzare in lei per il suo libero consenso il piano divino preparato da tutta l’eternità: «Avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1, 38).
Al tempo stesso, Maria, perché pensata da Dio come colei che riassume in sé la creazione intera, ha aperto alla creazione stessa la possibilità di generare Dio.
È così che con lei e in lei la libertà dell’uomo raggiunge la sua verità e la sua pienezza.
(continua)