La libertà di Ai Weiwei
Come suo padre, il poeta Ai Qing, anche Ai Weiwei ha conosciuto l’esilio. Di più, il carcere, la sorveglianza, il ritiro del passaporto, che gli hanno ridato solo nel 2015. Il motivo? Semplicissimo, ma per le autorità quanto mai pericoloso: avere denunciato la corruzione statale e la violazione sistematica dei diritti umani. L’artista sta pagando sulla propria pelle il suo amore per la libertà, il suo interesse per i diritti violati. E’ stato nell’isola dei migranti, Lesbo. Ed è forse per questo motivo che ha rivestito i cornicioni rinascimentali di Palazzo Strozzi con enormi gommoni, a ricordare lo strazio dei poveri del nostro tempo ad una Europa ripiegata su sé stessa. Certo Ai Weiwei, eclettico creatore di sculture, architetture, installazioni, ponte fra Oriente ed Occidente, ne ha avuto di coraggio – e più di lui gli organizzatori – a proporre i suoi lavori negli spazi di uno dei capolavori architettonici del Rinascimento. Senza stonare. Ed è questo il miracolo, che ha attirato oltre 100mila visitatori.
Ai Weiwei stupisce. Si entra nelle sale attraverso un arco trionfale fatto di 950 biciclette, il mezzo di trasporto tipicamente cinese, dopo aver notato nel cortile l’installazione Refraction, che m’è sembrata una gigantesca farfalla metallica desiderosa di volare, ma impedita dal suo peso: evidente metafora del carcere che priva le persone della libertà. Nella prima sala 360 zaini scolastici formano un enorme serpente: ricordano le vittime di un disastroso terremoto che nel 2008 ha ucciso circa 70mila persone a causa del materiale scadente usato nelle costruzioni.
Come si nota, l’arte di Ai Weiwei non è una evasione nella fantasia, ma usa la fantasia stessa per denunciare il male e l’ingiustizia del mondo. Anche quella del passato. Non per nulla espone una sua rilettura del Rinascimento attraverso alcuni personaggi che hanno conosciuto la morte o l’esilio per la loro lotta per la libertà: Dante, Savonarola, Galileo, e Filippo Strozzi, il grande avversario dei Medici. Costruiti in mattoncini Lego osservano dall’ alto il visitatore che si incanta sulle carte da parati alle pareti dove danzano Studi di prospettiva: brani di corpi che ricordano i disegni del Pollaiolo ma accanto, con un gesto profanatorio, ad immagini che ricordano i potenti della terra, come la Casa Bianca, la Gioconda, la Torre Eiffel, il Colosseo, piazza san Marco.
La vis polemica dell’artista parrebbe non conoscere sosta. Invece, eccola sorpresa dell’idillio poetico, dove la sensibilità cinese per la natura riappare. E’ il tappeto di porcellana intitolato Blossom (la Fioritura) con decine di corolle aperte a ricevere luce dal sole, cioè vita. O, poco dopo, Iron Grass (erba d’acciaio) steli in ghisa stilizzati, anch’essi rivolti in alto, a fiorire. Con dolore però, perché sono di metallo ed a punte aguzze.
Finalmente sorridiamo nella sala dedicata alle figure mitiche cinesi, come Feiyu, in seta e bambù, sospeso in volo nello spazio sopra di noi, a farci respirare voglia di correre per i cieli, liberi da tutto, come vorrebbe pure il gigantesco mostro alato alto 250 cm. Huamtougo, sospeso su una gamba sola e affacciato ai finestroni luminosi del palazzo.
Ma le sorprese non sono finite. Ai Weiwei infatti si inventa nel 2011 He Xie, una coperta a terra con infinite figure in porcellana rossa di granchi di fiume: ricorda il cibo che lui fece mangiare ai suoi ospiti per dolce protesta, quando il governo a Shanghai fece demolire con una scusa il suo studio.
Che fantasia e che passione civile in quest’uomo di sessant’anni, vigorosamente giovane. Una mostra da godere. Firenze, Palazzo Strozzi, fino al 22.1 (catalogo Giunti)