La lezione di Manchester
La costernazione per la “strage delle ragazzine” è grande in tutt’Europa. Si moltiplicano le veglie, le manifestazioni, le preghiere soprattutto. Cioè la condivisione. Mentre gli analisti si sono chinati al capezzale del Vecchio continente per auscultarne i battiti cardiaci aritmici. E hanno cercato di esprimere le loro diagnosi. Tra le tante, ne ho selezionate tre, particolarmente utili, perché affrontano diversi aspetti di un problema complesso che non può essere risolto con misure semplicistiche. Certo non con i 110 miliardi di armi date dagli Usa all’Arabia Saudita. Né con le proposte di immigrazione zero. Nemmeno con la militarizzazione delle nostre città.
Alberto Barlocci è nostro corrispondente dal Sud America. Ha postato su Fb un testo che ci sembra acuto, tale da far capire i meccanismi delle manovre trumpiane: «Vediamo in gioco la “logica” dell’Occidente. A Manchester si paga un nuovo tributo di sangue innocente al terrorismo. Nel frattempo, il tradizionale alleato britannico, gli Usa rappresentati da Trump, consolidano l’alleanza con l’Arabia Saudita, il Paese che è il maggior esportatore di terrorismo: dove non lo fa addestrando ed armando gruppi come l’Isis e varie altre sigle, lo fa costruendo moschee e centri sociali dai quali si propaganda un wahhabismo radicalizzato, che stravolge il Corano e canalizza malesseri sociali (e spesso psicologici). Trump firma con i sauditi accordi commerciali per 400 miliardi, 110 dei quali in armamenti. Complimenti per la lucidità. Non solo, ma l’alleato saudita è così felice del favore che investe 200 miliardi in infrastrutture negli Usa, nucleo della gestione economica di Trump. E questo nonostante che in Arabia Saudita il deficit di gestione sia di quasi 60 miliardi di dollari. A tal punto che gli stipendi pubblici sono stati decurtati del 60%».
Sul Corriere della sera, invece, appare un’intervista allo scrittore anglo-pakistano Hanif Kureishi, che cerca di entrare nelle menti dei kamikaze: «Ai loro occhi – ha detto – quei bambini non sono diversi da quelli che muoiono a Raqqa o a Mosul. È la loro terribile vendetta. E dobbiamo capire che non sono dei pazzi, dei folli che seguono una religione folle… Ma i terroristi sono parte del mondo in cui viviamo e la loro presenza rappresenta un problema politico, che richiede soluzioni politiche. Non serve invocare semplicemente più sicurezza se non si lavora a una soluzione politica». Poi mette un warning: «Accusare tutti i musulmani è come accusare i cristiani per le politiche occidentali in Medio Oriente. Bisogna capire che questo terrorismo non è particolarmente islamico, ma fa parte di un conflitto che si estende dalla Siria all’ Afghanistan. Invece si vedono atteggiamenti che stanno provocando la crescita del fascismo in Europa. E l’Isis non è affatto preoccupato da questo, anzi».
Infine, Avvenire pubblica un bell’editoriale di Fulvio Scaglione, “Capire davvero”, un’analisi lucida della necessaria condanna e del necessarissimo bisogno di capire per agire: «È l’orrore allo stato puro, al di là di qualunque immaginazione. Il cuore e la mente rifiutano di accettare l’idea che qualcuno possa mandare un ragazzo a uccidere ragazzi e distruggere famiglie per ideologia o, peggio, per fanatismo pseudoreligioso». Quindi? «L’orrore di Manchester contiene alcune lezioni che non dobbiamo assolutamente lasciare cadere. La prima è che rispetto al Daesh e alle sue stragi l’unico atteggiamento lecito è la più totale intransigenza». La seconda è che «dobbiamo assolutamente fermare questa continua strage di giovanissimi e bambini. L’Europa resterà a lungo sotto lo choc di quanto è accaduto al concerto, ma molti non si renderanno conto che drammi come questo sono realtà quasi quotidiana per tanti popoli nemmeno tanto lontani da noi. In Siria, racconta l’Unicef, l’anno scorso sono stati uccisi almeno 652 bambini e altri 850 sono stati impiegati nei combattimenti… È la strage degli innocenti su scala industriale, in una quasi generale mancanza di reazioni emotive che sa di assuefazione». Serve quindi un impegno «morale e politico insieme».