La lezione di Francesco Acerbi
Il post partita di Milan-Lazio, fondamentale crocevia per la qualificazione alla prossima Champions League, non verrà certo ricordato come il più tranquillo della storia del calcio. I rossoneri, nella serata di sabato scorso, hanno rafforzato il quarto posto in classifica, imponendosi a San Siro sui biancocelesti grazie al rigore messo a segno nella ripresa da Franck Kessie. Dopo il triplice fischio dell’arbitro Gianluca Rocchi, però, gli spettatori hanno assistito a siparietti poco produttivi per l’immagine dello sport più seguito nel nostro Paese.
Il direttore sportivo della Lazio Igli Tare, davanti ai giornalisti, ha sparso con nonchalance il seme del dubbio, dichiarando: «Il titolo è quello di una morte preannunciata, gli episodi hanno deciso il risultato, ed è un peccato: noi abbiamo fatto una buona partita. L’arbitro – continua il dirigente – è stato velocissimo nel fischiare un rigore che non c’era, il secondo poteva starci, quello su Milinkovic è netto. Così come l’anno scorso, subiamo delle decisioni». A questo va anche aggiunta la tentata aggressione da parte del giocatore laziale Patric che, nel parapiglia finale, ha cercato di colpire Kessie con un pugno.
Si erge ancor di più come grande esempio, quindi, la lezione di sport e dignità impartita da Francesco Acerbi. Uomo che, dopo aver sconfitto per ben due volte il tumore ai testicoli, è riuscito a tornare più forte e completo di prima, diventando uno dei migliori centrali difensivi in Italia, capace di giocare 149 partite ufficiali consecutive. L’unico in grado di far meglio è stato Javier Zanetti, arrivato a 162. Acerbi aveva sportivamente acceso il pre partita di Milan-Lazio affermando come, a livello individuale, i calciatori capitolini potessero considerarsi più forti dei rossoneri.
A Tiemoué Bakayoko, roccioso mediano francese del Milan, l’affermazione non era andata a genio e, su Twitter, aveva risposto con un laconico: «Ci vediamo a San Siro». Il difensore ha quindi subito cercato di smorzare i toni, rispondendo sul social network: «Non mi interessano le parole, non volevo mancare di rispetto a nessuno! Il calcio regala queste sfide che si trasformano in emozioni: il calcio è solo un gioco, ma è quello più bello del mondo». Parole distensive, a cui ha fatto seguito il bel gesto arrivato a fine partita. Nonostante l’amarezza per il ko, Acerbi ha cercato Bakayoko, chiedendo uno scambio di maglietta per celebrare la chiusura del malinteso.
L’abbraccio tra i due sembrava aver chiuso la contesa, riaperta però proprio dal successivo comportamento del francese. Accompagnato da Kessie sotto la curva occupata dai sostenitori rossoneri, infatti, Bakayoko ha esposto la maglia numero 33 di Acerbi come se fosse un bottino di guerra. Uno sfottò che, ovviamente, non è andato giù al diretto interessato. «Sono dispiaciuto – ha dichiarato il laziale – perché ho scambiato la maglia per mettere fine alla questione, fomentare odio non è sport ma un segno di debolezza». Un errore a cui, però, i due giocatori del Milan hanno prontamente cercato di riparare.
«Il mio è stato un gesto scherzoso. Non volevo mancare di rispetto a nessuno – rettifica Bakayoko in un Tweet, a cui ha fatto seguito una telefonata – chiedo scusa ad Acerbi se si è sentito offeso». Anche Kessie ha fatto la propria parte, dichiarando su Instagram le scuse più sincere al giocatore della Lazio. Il capo della Procura federale Giuseppe Pecoraro, nel frattempo, ha chiesto al giudice sportivo la prova tv per capire se e come i fatti in questione possano essere sanzionati. A porre definitivamente la parola fine sulla querelle, almeno per quanto riguarda il calcio giocato, ci ha poi pensato lo stesso laziale, pubblicando sul suo account Twitter la foto dell’abbraccio con Bakayoko arrivato a fine partita, accompagnato dalla frase: «Basta polemiche, ci rivedremo sul campo».
Un gesto distensivo che, probabilmente, aiuterà a chiudere le polemiche attorno a una partita molto sentita da entrambe le parti e che evidenzia ancora una volta le qualità umane di Francesco Acerbi: uomo e atleta a cui la lotta contro il tumore, iniziata nel 2013, ha cambiato la vita. «Prego due volte al giorno – ha affermato il giocatore sulle pagine del Corriere della Sera – rispetto a prima ora so chi sono. Distinguo il bene dal male e ho allontanato le persone che considero negative. Può sembrare strano, ma che nella vita volessi fare davvero il calciatore l’ho capito solo dopo la malattia». La rincorsa alla Champions League e a una maglia azzurra in vista degli Europei 2020, per lui, prosegue piena di speranza.