La lezione di Einaudi
Al Salone del libro di Torino sabato 12 maggio alle ore 15 sarà presentato il libro Verso la città divina. L'incantesimo della libertà in Luigi Einaudi di Francesco Tomatis, edito da Città Nuova. Un libro che ha avuto un buon riscontro di pubblico e che ha tra i maggiori pregi quello di saper divulgare il pensiero dell'economista e giornalista, nonchè presidente delle Repubblica Einaudi, come sottolinea in questa recensione Enzo di Nuoscio per Europaquotidiano.
«Il bel volume di Francesco Tomatis, Verso la città divina. L’incantesimo della libertà in Luigi Einaudi (Città Nuova, 2011), è una riuscita dimostrazione di quanta ragione avesse Paul Ricoeur quando scriveva che ogni «testo» è sempre un’«opera aperta», suscettibile di molte interpretazioni, che, rispettando l’«alterità » del testo stesso, ne possono cogliere significati diversi e magari fino a quel momento ignorati. Nella imponente bibliografia dedicata a Einaudi non mancano certo gli studi che hanno indagato le argomentazioni economiche, politiche, giuridiche, sociologiche ed anche epistemologiche che egli propone per difendere la libertà.
«Inesplorata è stata invece fino ad ora la dimensione teoretica delle riflessione einaudiana, brillantemente messa in luce in questo volume da Tomatis, acuto filosofo teoretico, allievo di Luigi Pareyson. Padroneggiando con sicurezza la sterminata bibliografia einaudiana ed esaminando con particolare attenzione testi considerati minori o addirittura trascurati, Tomatis ci dimostra come Einaudi fosse convinto che la libertà non possa fare a meno di una dimensione «morale» e «trascendente».
«Per Einaudi la libertà è innanzitutto una condizione «antropologica» che consente ai singoli di elevarsi moralmente e alle società di progredire nel benessere. Una condizione che ha bisogno di presupposti economici (l’economia di mercato), sociali (una sostanziale riduzione delle disuguaglianze), politici (la limitazione dei poteri dello Stato), giuridici (l’«impero della legge») e persino gnoseologici (la consapevolezza della fallibilità della conoscenza umana). Grazie a queste garanzie la libertà potrà garantire il massimo di diversità, di discussione critica e anche di “lotta”, compatibili con le regole condivise dello Stato di diritto e potrà diventare la più preziosa risorsa per consentire la realizzazione del maggior numero possibile di progetti individuali compatibili tra loro e quindi per potenziare le capacità di problem solving di un gruppo. Ma tutte queste condizioni «non sono bastevoli» perché, spiega Einaudi, «la libertà esiste se esistono uomini liberi che ubbidiscono alla voce della coscienza», che si sentano moralmente liberi, prima di tutto dentro di sé. È questa una libertà che non dipende dall’organizzazione sociale e politica, ma che è legata al foro interiore degli individui. È una libertà più profonda, che è causa e non effetto di quella politica ed economica, e che Einaudi identifica come la inesauribile ricerca esistenziale di verità assolute che esseri umani consapevoli della loro «creaturalità» non possono che cercare in una dimensione «divina» e «trascendente».
«Dunque, l’Einaudi empirista e pragmatista, l’economista tutt’altro che insensibile al rigore positivista, lo scienziato delle finanze che della libertà ha indagato i meccanismi più “tecnici”, sapendola sempre declinare in un vissuto popolare di esperienze tratte dalla vita di tutti i giorni, è lo stesso Einaudi che, da cattolico e liberale, guarda alla libertà anche da una prospettiva esistenziale e spirituale, che vede in essa «l’anelito spirituale verso l’alto» e che non esita a sostenere che è proprio questa libertà della coscienza e dello spirito a «rendere la vita degna di essere vissuta». Einaudi parla di «incantesimo della libertà» per identificare, come scrive Tomatis, «l’esporsi dell’uomo libero ad un’alterità verticale, trascendente ogni realizzazione storica». E tuttavia, dalla prospettiva einaudiana questa profonda dimensione spirituale della libertà, non solo non è in contrasto, ma è in perfetto accordo con la laicità dello Stato liberale, il quale si astiene dal giudicare la coscienza e dall’imporre verità assolute, consentendo a ogni singolo quella perenne ricerca di ciò che è “altro”, che Einaudi considera il più autentico tratto antropologico ed esistenziale dell’essere umano».