La lezione di Bruxelles

Da tre giorni la capitale belga è sotto scacco per un uomo (e qualche complice) che si suppone debba compiere una strage. Daesh ottiene così il suo successo più importante
Mitra - Venezia © Michele Zanzucchi 2007

Le 130 vittime di Parigi sono ormai un’icona (cioè un passato che ritorna sempre vivo, una memoria che si fa carne), sono il simbolo del cambio di velocità dell’offensiva di Daesh contro il mondo occidentale. I nostri giornali e le nostre tv tracimano immagini, commenti, notizie frammentarie, schizzi di terrore. Da tre giorni non si parla di morti, ma di possibili morti: la capitale belga, simbolo dell’Unione europea, è bloccata per un’allerta al terrorista che viene presa molto sul serio. In fondo è la più grande vittoria dei terroristi del presunto califfato, che vogliono bloccare le nostre società, vogliono far loro rivivere in modo analogo ma non uguale quello che tanti inermi siriani stanno vivendo da tre anni per la guerra civile che in realtà è tanto incivile (poco meno di 300 mila morti, rispetto ai più o meno130 di Parigi, alla ventina di Bamako, ai 224 dell’aereo russo precipitato sul Sinai, ai più di 40 di Beirut). Vogliono bloccare il nostro sistema nervoso usando degli stessi strumenti che noi stessi abbiamo inventato: media in testa, col corollario degli strumenti della rivoluzione digitale.

 

Le ricette si sprecano per uscire dal vicolo cieco nel quale ci siamo infilati. Bernard Henri-Lévy, ormai consueto guerrafondaio rivestito da filosofo radical-chic che già aveva chiamato alla guerra in Afghanistan in Georgia, in Iraq e in Libia (coi risultati che vediamo oggi chiaramente, cioè distruzioni e benzina gettata sul fuoco del radicalismo islamista), invoca sul Corriere la discesa sul terreno degli eserciti occidentali: «Questa guerra contro l’Isis non si vince nelle strade di Parigi, ma nelle pianure irachene e siriane dove il nemico è vulnerabile». Ernesto Galli Della Loggia, sempre sul quotidiano di via Solferino, dopo un’attenta e lucida analisi delle nostre paure, dei nostri buonismi e dei nostri «oscuri sensi di colpa», conclude anch’egli che siamo in guerra: «Perché di guerra si tratti non è necessario essere in due. Basta che uno decida di spararti addosso». Vladimiro Zagrebelsky, su La Stampa, difende i valori laici e che Daesh mette sotto accusa: «Libertà… il diritto alla ricerca della felicità… una società di individui liberi, eguali, che lo Stato riconosce e protegge nei loro diritti»; non andiamo in guerra, sostiene, ma difendiamoci con la «tolleranza consapevole». Altri, che non cito, vogluiono solo picchiare sodo, bombardare fino a ridurre il califfato una sogliola senza vita.

 

Comune a tutte queste analisi, più o meno valide, più o meno acute e condivisibili, sembra il senso irriducibile di fallimento e smarrimento. Non si sa dove si va, forse non si sa nemmeno da dove si viene. Cosa difendiamo? L’hard rock o la cena al ristorante o la partita di calcio valgono una sola vita umana? Papa Francesco continua a prendere tutti in contropiede ricordando che, se la violenza dei terroristi è «disumana», le persone che «operano per la guerra e fanno le guerre sono maledetti, sono delinquenti». E rincara la dose: «Una guerra si può “giustificare”, sia detto fra virgolette, con tante ragioni. Ma quando tutto il mondo, come è oggi, è in guerra, una guerra mondiale a pezzi, dappertutto, non c'è giustificazione». Accusa ancora Bergoglio: «Il mondo continua a fare la guerra, a fare le guerre. Il mondo non ha compreso la strada della pace. Noi abbiamo preferito la strada delle guerre, la strada dell'odio, la strada delle inimicizie». Non si possono capire Parigi, Bruxelles, ma anche Bamako, Sharm el Sheick e Beirut, senza collegare questi luoghi di lutto con i luoghi di lutto delle guerre e la “delinquenza” dei trafficanti d’armi (in massima parte nostri concittadini d’Occidente).

 

Forse apparirà un ritornello, ma le soluzioni a lungo termine sono quelle di sempre, ma che sempre dimentichiamo: ascolto, misericordia, giustizia, riconciliazione, accoglienza, persino pedono. In ogni caso fraternità (quella di Abele, non quella di Caino). Ma queste soluzioni sono efficaci anche a medio e breve termine, nella diplomazia così come nelle vite nostre, singole e personali. Vite comunque operative, oggi, subito. Vite che sfuggono alla paura con la decisione per il bene. Daesh non può nulla contro questa decisione.

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