La lezione di Alex

L’attuale numero uno dell’atletica azzurra, Alex Schwazer, ci spiega come sta superando un momento di crisi.
Alex Schwazer

Disponibile, cordiale, molto legato alle montagne e alle sue origini, Alex Schwazer è il più giovane atleta italiano mai salito su un podio mondiale di atletica leggera. C’è riuscito ad Helsinky, nel 2005, quando a soli vent’anni ha vinto la medaglia di bronzo nei 50 km di marcia. Cresciuto giorno dopo giorno sotto il vigile sguardo di Sandro Damilano, il “maestro” di generazioni di marciatori italiani, Alex è diventato poi in poco tempo uno dei più forti interpreti di questa disciplina, forse il più forte tra quelli che il panorama mondiale ha offerto negli ultimi anni. Nuovamente bronzo ai successivi Mondiali (Osaka 2007), il nostro atleta ha compiuto un vero e proprio capolavoro nella “gara delle gare”, la 50 km olimpica di Pechino 2008, dominata, nonostante la giovane età, con un’autorità da vero e proprio veterano.

Il successo a cinque cerchi poteva rappresentare per lui la definitiva consacrazione ma, paradossalmente, proprio dopo quel trionfo sono cominciati i problemi. «Sono stato soprattutto io a mettermi pressione addosso – ci racconta Alex –. A pensarci adesso mi rendo conto che volevo strafare. Avevo vinto le Olimpiadi a 23 anni, così mi sono detto: “Se ora mi alleno ancora di più, se mi concentro ancora meglio, se faccio tutto in modo ancor più perfetto allora al prossimo Mondiale non ce n’è proprio per nessuno!”».

 

Invece nei due anni successivi Alex sperimenta due profonde delusioni. Dato per grande favorito della 50 km sia ai Mondiali di Berlino del 2009 che agli Europei di Barcellona della scorsa estate, Schwazer è costretto al ritiro in entrambe le occasioni. A frenarlo, oltre ad alcuni problemi fisici, è stato soprattutto l’aspetto mentale, e si sa come quest’ultimo giochi spesso un ruolo determinante nel cammino verso un possibile successo. Neanche la medaglia d’argento vinta nella prova dei 20 km degli ultimi campionati continentali riesce a consolarlo. Anzi, puntando “solo alla vittoria”, anche quel brillante risultato gli sembra una mezza sconfitta. Così Alex, dopo Barcellona, decide di prendersi un lungo periodo di stop.

«Adesso mi guardo indietro e mi accorgo che ci vuole un equilibrio in tutto, nello sport come nella vita, perché negli ultimi due anni mi sono solo concentrato sulle gare, senza pensare ad altro. Per troppo tempo ho trascurato altre cose molto importanti, come ad esempio trascorrere più tempo con gli amici, e alla fine l’ho pagata». In effetti a certi livelli il rischio è quello di isolarsi dal resto del mondo. Il nostro atleta ha faticato, è stato male, «però adesso penso che questa cosa l’ho capita davvero. Uno sportivo non può pensare solo a condurre una vita d’atleta tutto il giorno, 24 ore su 24. Esagerare non va mai bene».

 

Alex riparte dalla consapevolezza che quando non si accettano i propri limiti, il giocattolo può rompersi. Così sta gradualmente ritrovando quella serenità che gli servirà nelle prossime settimane, quando tornerà ad allenarsi. «Sto riassaporando il piacere e il valore delle piccole cose: ho ripreso a dipingere, a uscire con gli amici, a praticare altri sport e a fare lunghe camminate in montagna: sono di nuovo felice.

«E poi ho capito che se si va a una gara dicendo “devo vincere”, allora vuol dire che in realtà non si accetta veramente la sconfitta, che in fondo si ha solo paura di perdere. Devo accettare che posso essere un campione nello sport ma sono sempre un essere umano, anch’io posso sbagliare. Questa è la prima cosa per tornare a fare di nuovo bene».

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