La lezione del vecchio pendolo
Durante l’estate, Titina trascorre le vacanze nella casa dei nonni, in campagna, dove può correre sul prato a piedi nudi, arrampicarsi sull’albero di ciliegie e farne una scorpacciata, saltare sopra un covone di fieno profumato, tenere tra le mani un uovo ancora caldo o un coniglietto appena nato. Sono sensazioni, colori, profumi, emozioni che Titina non ritroverà più in città, perciò vuole riempirsene il cuore.
In cima alla scala della casa dei nonni, poi, c’è una porta, che si apre su un mondo magico e silenzioso: il solaio. Titina trascorre lì tutte le grigie giornate di pioggia che si trasformano, per lei, in magnifiche avventure. Che emozione riaprire il vecchio baule dove sono conservati i vestiti della bisnonna, attrice di teatro! Titina affonda le mani in un mucchio di pizzi e di soffici trine, indossa un abito bianco e un grande cappello con la veletta e si ammira, divertita, davanti a una grande specchiera. Poi si siede su un’imponente poltrona di velluto e sfoglia un vecchio album di fotografie: ecco la bisnonna, ritratta durante una recita, con un severo abito lungo, ed ecco il bisnonno, attore pure lui, in uniforme da ufficiale, che sfoggia un bellissimo paio di baffi all’insù. Poi, su fotografie ingiallite dal tempo, appaiono graziosi bambini vestiti da marinaretti e bimbe belle come bambole di porcellana, nei loro abitini della Prima Comunione. Titina sogna cavalieri gentili che si inchinano davanti alle loro dame, e abiti vaporosi che turbinano nel vortice di un valzer. Ma un leggero colpetto di tosse la richiama alla realtà.
«Sarà il nonno, che viene a chiamarmi per la merenda», pensa Titina, ma guardandosi attorno, non vede nessuno.
«Hemm… Hemm…», di nuovo quel colpetto di tosse.
«Chi sta tossendo qui?», chiede Titina, incuriosita.
«Sono io!», dice una voce che proviene da un angolo del solaio. Titina sposta alcune sedie, trascina un grande paravento a fiori gialli e così scopre che dietro di esso c’è un vecchio orologio a pendolo.
«Ciao, sei tu che hai la tosse?».
«Non ho la tosse, volevo solo attirare la tua attenzione, per chiederti di farmi un favore. Vorrei sgranchirmi un pochino gli ingranaggi, è da moltissimo tempo che sono qui immobile e purtroppo non so neppure dirti da quanto, perché mi sono fermato e non l’ho più potuto calcolare».
«Non sapevo che gli orologi potessero fermarsi. Guarda l’orologino che ho al polso: è molto più piccolo di te, eppure sa fare tutto da solo, posso persino dimenticarmi di averlo!».
«È proprio questo il guaio…».
«Quale guaio? Non capisco!».
«Il guaio è che puoi dimenticarti di averlo. Con noi vecchi orologi, invece, è diverso: bisogna ricordarsi di ricaricarci ogni giorno e così ci si ferma un momento davanti a noi, si gira la chiave, si controlla la corsa del pendolo affinché non vada troppo lento o troppo veloce, si ammira compiaciuti la lucentezza dell’ottone e tutto questo crea un rito».
«Un rito? E a che cosa serve?».
«Serve a rendere importante un attimo della giornata, un momento della vita. E adesso mi fai funzionare, per piacere?».
Titina gira lentamente la chiave un po’ arrugginita e il vecchio pendolo incomincia di nuovo a oscillare. Il suo ticchettio regolare si accompagna a quello delle gocce di pioggia, che battono sulle tegole e sui vetri della finestra. Titina osserva incantata il movimento del bel pendolo lucente e chiede: «Ce n’erano altri di riti, ai tuoi tempi?».
«Se ce n’erano? Eccome! Regolare lo stoppino del lume a petrolio, intingere il pennino nel calamaio, riporre con cura una cuffietta di pizzo che sarebbe servita per il prossimo bimbo, riaffilare la lama di un coltello un po’ vecchio…».
«Tutto questo è molto romantico, ma parecchio scomodo – osserva Titina –. Pensa un po’ che guaio sarebbe se io dovessi servirmi di penna e calamaio per fare i compiti: non finirei mai! No, no: meglio la mia penna biro che è veloce e mi permette di correre prima a vedere i cartoni animati!».
«E qual è la storia della tua penna biro?».
«Non so, ma che importa? Presto ne avrò una nuova, nonna Ebe me l’ha promessa».
«Ecco qual è il vostro guaio – dice gravemente l’orologio a pendolo –. Passate troppo poco tempo con le cose che possedete. Quando qualcosa invece rimane con noi per molto tempo, magari per generazioni, acquista un’“anima” e una memoria. Ma voi correte troppo dietro alle novità, gettate via tutto e così vi private della dolcezza dei ricordi».
«Hemm… Hemm…».
Questa volta è davvero nonno Carlo.
«Scendo subito, nonno!», grida Titina, poi strizza l’occhio al vecchio orologio: «Non si può tornare ad accendere il lume a petrolio o a macinare il caffè con il macinino, ma qualcosa si può fare! Ciao, orologio a pendolo, domani tornerò a ricaricarti».
Mentre Titina mangia la sua fetta di pane e marmellata, la nonna le dice: «Quando hai finito la merenda, ti porto a comprare la penna, sei contenta?».
«Sì, cioè no, nonna. Insomma, io adesso vorrei una penna stilografica, magari in un bell’astuccio di velluto».
«Ma Titina, la penna stilografica devi ricaricarla, non è un po’ scomoda?».
«Può darsi, nonna, ma, da domani, vorrei fare una lunga strada con lei».