La lezione civile degli “amici del bar”

Sconfiggere l’azzardo legalizzato senza moralismi e partendo dalle periferie. Intervista a Ivan Vitali delle Acli lombarde e direttore di ConVoi onlus
bar slot

Ogni esercizio commerciale è diverso dall'altro. C'è quello a conduzione familiare e quello che appartiene ad una catena commerciale. L'ambiente può essere accogliente e costituire un vero e proprio presidio sociale nelle città che, con la crisi, rischiano la desertificazione dei negozi.

L'eterogeneità dei locali, per dimensione e forma organizzativa, spiega anche la poca visibilità dell'ultimo "sciopero del caffè" indetto dai sindacati per denunciare il peggioramento delle condizioni contrattuali dei baristi dipendenti come, ad esempio, la scomparsa della quattordicesima nella retribuzione.

Ma alzare ogni giorno la saracinesca quando è ancora notte, per chiuderla chissà quando la sera, è un'impresa che va incontro a tante incognite, a cominciare dal flusso giornaliero dei clienti che determinano quel fatturato che deve coprire una serie di spese fisse e non rimandabili.

Se, come accade, alcuni titolari decidono di non far entrare le slot machines nei loro locali, oppure decidono di tagliare i ponti affrontando le complicazioni dei contratti stipulati con i concessionari dell'azzardo legalizzato, ci troviamo davanti ad una scelta di coscienza che non si aspetta chissà quale corrispettivo. Sono sterminati i campi, dalle banche agli ospedali alla scuola, dove si può applicare la stessa determinazione. Si può dire, quindi: «Conosco come vanno le cose e le regole del sistema, ma io non collaboro e cerco di costruire un altro modo di stare al mondo».

Prima ancora dello Stato, che dovrebbe impedire la prepotenza di chi usa il denaro per imporsi, una società sta in piedi se riconosce questo fondamento libero e gratuito della convivenza. Ma il primo passo da compiere è quello di condividere la condizione delle migliaia di esercenti che ritengono giusta una tale scelta ma hanno mille ragioni e difficoltà per compierla. Non si tratta perciò di condannare o prendersela con l'ultimo e più debole anello di una catena di comando che arricchisce le grandi società e le loro lobby, ma affermare, con i fatti, che si può cambiare gioco fin da ora.

Le Acli milanesi sono una realtà ben radicata sul territorio e possono offrire criteri di giudizio per cercare di capire come un’azione condivisa permanente può davvero andare a intaccare certi equilibri di potere consolidati. Ne parliamo con Ivan Vitali, direttore di “ConVoi onlus” a Milano e impegnato nelle Acli in progetti di coesione sociale nelle periferie milanesi.

Vitali, uno dei relatori del Cantiere legalità in corso in questi giorni a Caserta, ha seguito progetti di solidarietà nelle favelas brasiliane, è nel cda del Polo Lionello Bonfanti dell’Economia di Comunione e tra i fondatori della Sec, Scuola di economia civile, che sarà al centro delle giornate di LoppianaoLab in programma dal 20 al 22 settembre 2013.

Con il vostro lavoro vi muovete, da sempre, tra le nuove e vecchie fragilità strutturali e i legami sociali che nonostante tutto tengono. Dai quartieri falcidiati dai licenziamenti ai circoli esclusivi dell'ex capitale morale d'Italia, che volto assume la diffusione del gioco d'azzardo?
«Oggi – e a mio parere sempre più – il gioco d’azzardo  assume  il volto del disagio, della fragilità, che poi diventa perdita di identità, di contatto con la realtà, sino a sfociare in disperazione e violenza: sul sito di uno dei principali giornali si può trovare il video di un uomo che, dopo aver perso cinquemila euro ai videopoker, è entrato in un bar e li ha distrutti a colpi di accetta. Quasi ogni giorno mi capita di conoscere persone che vengono a chiedere aiuto perché non sanno come arrivare alla quarta settimana. Quasi tutte “investono” gran parte dei loro pochi soldi nelle macchinette. Il sogno di lasciarsi alle spalle i propri problemi, che un “colpo di fortuna” possa cambiare l’esistenza, che per una vita intensa e degna non occorra, o non sia possibile, passare attraverso l’impegno, il merito, la fatica, sono le lusinghe su cui slot machine, videopoker, gratta e vinci fondano gran parte del loro fascino. E sono illusioni che fanno più presa sulle persone semplici, deboli, sole».

C'è chi, come il presidente di Confindustria, avverte che siamo ad un passo dal disastro e dalla rivolta sociale: il ricorso individuale e disperato al gioco d'azzardo non è funzionale a uno stordimento di consapevolezza politica delle classi più a rischio di povertà?
«Anche se non so quanto consapevolmente, credo di sì: chi proviene da storie familiari faticose, chi vive relazioni distorte che non riesce più a comprendere, chi si trova – o si sente – solo, chi perde il lavoro, chi non lo trova o ne vive solo l’aspetto dello sforzo, senza alcun feedback di valore, senso e dignità, chi vive la crisi con vergogna e disperazione, chi vive un presente cupo e immagina un futuro peggiore trova nell’illusione del “gioco” d’azzardo una speranza, una compagnia, un passatempo. Purtroppo questi “giochi” hanno molto poco di ludico e divertente: sei sempre tu, solo, debole, fragile, che gratti una tessera o metti monete in una macchina programmata. E che la speranza di un domani migliore sia legata a questo è un segnale allarmante, che richiede di essere affrontato urgentemente e con azioni integrate».

Quali sono le caratteristiche di un’azione realmente efficace nell'invertire una tendenza prevalente come la diffusione legalizzata del gioco d'azzardo?
«Occorre portare l’attenzione pubblica e privata sul disagio che il gioco d’azzardo genera, sui drammi economici – quando non anche sulle dipendenze patologiche – che ne conseguono. Occorre che la politica valuti che nel bilancio dei giochi d’azzardo, alle enormi entrate dei diritti, si contrappongono i costi sociali, la sofferenza, le povertà materiali e umane di centinaia di migliaia di persone. Occorre che si facciano azioni dimostrative e culturali per cambiare la percezione legata al gioco d’azzardo. Affinché così tante persone possano essere aiutate a cambiare stile di vita credo non siano sufficienti, da soli, una svolta della politica, un forte investimento culturale e manifestazioni ed eventi di sensibilizzazione. A mio parere, occorre che, insieme a tutto questo, si offrano nel quotidiano spazi di relazione, di sostegno offerto da persone in grado di ascoltare, di ospitare timori, vulnerabilità  e miserie umane senza giudicarle, persone in grado di “prendere per mano” chi è fragile per accompagnarlo a ricostruire sé stesso, educando a obiettivi raggiungibili; persone che, come specchi, restituiscano l’immagine di “essere capaci”, che è  possibile raggiungere – con fatica, ma con le proprie forze – il lido di una nuova vita. Passo dopo passo. L’esatto contrario dell’illusione del “tutto e subito” delle macchinette e dei gratta e vinci».

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons