La letteratura secondo “L’Espresso”
Con il settimanale L’Espresso, è entrata, recentemente, in molte case italiane La storia generale della letteratura italiana a cura di Walter Pedullà e Nino Borsellino edita da Federico Motta Editore e dal Gruppo Editoriale L’Espresso. Un’opera composta da sedici grossi volumi, di cui sei dedicati alla letteratura del Novecento. È evidente che ogni storia della letteratura parte da una visione particolare della vita e da una determinata scuola di pensiero, per cui voler trovare l’obiettività è pretestuoso ed ingenuo. Ma quello che appare subito, sfogliando i sei volumi del Novecento, è un forte sbilanciamento su alcuni autori, a danno di altri. Per esempio, per non rimanere nel vago, 77 pagine a Carlo Emilio Gadda, 50 pagine a Dino Campana, 44 a Cesare Pavese, 43 a Beppe Fenoglio, 42 a Stefano D’Arrigo, 37 a Giacomo Debenedetti, 36 ad Alberto Moravia, 34 a Tommaso Landolfi, contro 7 pagine dedicate a Marino Moretti, 4 pagine a Giovanni Testori, 4 ad Anna Maria Ortese, 4 a Elsa Morante, 4 a Fulvio Tomizza, 3 a Ignazio Silone e, cosa abbastanza rilevante, un rigo a Mario Pomilio e Raffaele Brignetti, e l’oscuramento completo, come se mai fossero esistiti, di Luigi Santucci, Sergio Maldini, Italo Alighiero Chiusano, Valerio Volpini, Ferruccio Ulivi, Davide Maria Turoldo, Virginia Galante Garrone. Se poi guardiamo i contemporanei viventi, riscontriamo, per esempio, 16 pagine dedicate a Luigi Malerba, 16 ad Elio Pagliarani, 10 ad Alberto Arbasino, contro 4 pagine a Giuseppe Pontiggia, 4 a Mario Luzi (vivente alla stesura dell’opera), 1 pagina a Ferdinando Camon e 1/2 pagina a Claudio Magris e, inoltre, l’oscuramento completo di Fortunato Pasqualino, Gino Montesanto, Carlo Sgorlon, Luca Desiato, Luca Canali, Rodolfo Doni, Ferruccio Parazzoli, ed altri. Sappiamo bene che lo spazio dedicato ai singoli autori rientra nella sensibilità dei curatori Pedullà e Borsellino, per cui possiamo solo dire di non condividere il criterio adottato; quello che invece appare un limite oggettivo dell’opera in questione è l’assenza completa o quasi di autori significativi ed importanti che ci hanno donato opere di narrativa e di poesia ricche di fermenti e valori cristiani. Tale assenza ci appare ancora più grave nel momento in cui la voluminosa storia, che si qualifica come storia generale della letteratura italiana, e che si preoccupa di citare, con dovizia, nomi di autori dell’avanguardia e della nascente letteratura, preferisca ignorare l’esistenza di quegli autori. Forse una forma di rigetto per artisti che hanno avuto solo il torto di essere stati sempre fedeli alla propria ispirazione cristiana? Mario Pomilio, intervenendo con forza nel dibattito culturale degli anni Settanta sulle discriminazioni ideologiche in letteratura, ripeteva spesso che non doveva esistere una cultura laica in contrapposizione ad una cultura cattolica, ma solo la cultura come casa comune dove gli scrittori, di convinzione religiose o no, portavano il loro personale e prezioso contributo. Dobbiamo aspettare ancora un po’, prima che critici letterari della nuova generazione, lontani dalle ferite ideologiche di un passato ancora troppo vicino, sappiano guardare il mondo letterario con maggiore serenità ed apertura e donarci una storia generale del Novecento italiano che, nella libertà di giudizio critico, sia rispettosa di tutti.