La letteratura “apocalittica”
Quando parliamo di letteratura apocalittica dobbiamo riferirci a una corretta nozione di Apocalisse: che è, alla fine del Nuovo Testamento, la rivelazione (questo il significato della parola) della verità della storia sia nel suo presente che nel suo esito ultimo, cioè nel suo fine e nella sua fine; non solo profezia ma diagnosi. La letteratura “apocalittica” contemporanea, che è abbondante e vo- lentieri frequenta questa tematica, si dispone secondo la linea della sua maggiore o minore fedeltà alla profondità originaria del concetto di apocalisse. C’è una letteratura apocalittica secolarizzata e intrisa di fantascienza, di mitologismo anglosassone a buon mercato, di esoterismo e di occultismo, che fiorisce abbondante nelle lande del New Age e di tutta la paccottiglia filmico-libraria di medio-bassa caratura, e che non è qui il caso di prendere in esame. E c’è invece una letteratura profondamente immersa nell’inquietudine apocalittica misurata sulla verticalità delle domande spirituali di fondo, che merita considerazione, a vari livelli di profondità e perciò di interesse. Anzitutto gli apocalittici “desolati”, che uniscono all’interesse per la previsione scientifico-sociologica una visione psicologica e valoriale dell’uomo fondata su basi essenzialmente positivistiche, che non suggeriscono speranza. Ai romanzi di H.G. Wells si uniscono, a Novecento inoltrato, il Brave New World (bisognerebbe tradurre Il bel mondo nuovo) di A. Huxley, apocalisse negativa di una società automatizzata fino alla meccanizzazione umana, e il famoso 1984 di G. Orwell, con la sua tragica previsione di un mondo totalmente assoggettato al “Grande Fratello”: quanto lo sia effettivamente oggi, nelle forme ancor più degradate che tutti conosciamo, lo decida il lettore. A questo romanzo si accosta, precorritore (1924), il Noi di E. Zamajatin, che tra fanta-società e satira del sistema sovietico disegna il grottesco destino di un’umanità in preda al suo “Benefattore”. A lato di questa apocalitticadesolata o ironica sta la grande ingegnosità combinatoria e fantastico-surreale dell’ultima produzione di Italo Calvino, da Le cosmicomiche a Se una notte d’inverno un viaggiatore, esplorazioni acute e inapparentemente trepidanti di universi alternativi, astratti ma verosimili e compossibili, nel segno di una profonda perplessità sul destino o sui destini dell’uomo. Se i racconti fantastici di J.L. Borges si possono ricollegare alla letteratura apocalittica, va detto però che ciò che li compone e scompone, con le arti di un’intelligenza demiurgica, è un interesse “metafisico” sui miti umani che sempre muovono le esistenze individuali e collettive. Più semplice e lineare l’utopismo apocalittico sospeso e disilluso del nostro G. Morselli, nei cui romanzi la magica fine, o la scomparsa, della società attuale, suggerisce amari consuntivi (come nel migliore racconto, Dissipatio H.G.). Con C.S. Lewis, J.R.R. Tolkien, e, a un livello artisticamente minore ma criticamente assai acuto R. Benson, siamo molto più vicini al senso cristiano dell’apocalisse: le avventure galattiche del primo, Il signore degli Anelli del secondo, Il padrone del mondo del terzo, parlano con scoperta potenza metaforica di bene e di male, di salvezza e di perdizione, scoperchiati nel presente e sanzionati nel futuro ultimo. A livello, infine, di ottimale penetrazione e rappresentazione dell’apocalittica “quotidiana” e “ultima” rese parallele, intercomunicanti e convergenti, sta l’alta produzione letteraria di E. Ionesco e di S. Beckett (basta citare, per il primo, La cantatrice calva e Il rinoceronte, per il secondo, Aspettando Godot e Finale di partita); e l’altissima di F. Dostoevskij, nei Demoni ma soprattutto nelle Memorie del sottosuolo, grandiosa diagnosi-profezia del ribelle- impotente uomocontemporaneo; e di F. Kafka, che nelle sue grandi narrazioni della funebre entropia in cui cade la società de-spiritualizzata (Il processo, Il castello, La metamorfosi, Nella colonia penale, ecc.), affresca, come un maestro trecentesco in un camposanto, la sequenza macabra di una “civiltà” che al mistero ha sostituito, dice Kafka per i nostri tempi, le “istruzioni per l’uso”. Un’ultima parola per il grande regista russo A. Tarkovskij che nei film (Solaris, Stalker, Sacrificio) e nei bellissimi racconti cinematografici di film eseguiti e non, scopre apocalitticamente cos’è l’uomo contemporaneo senza Dio e alla sua ricerca.