La “leggerezza” di Berlusconi
A chi gli rimproverava di tifare per una squadra guidata dal suo principale avversario politico, Enrico Letta, milanista come il suo presidente di allora, diceva: «Berlusconi passa, il Milan resta». Anche io, da buon milanista, ho ripetuto spesso questa massima, per cercare di consolarmi di fronte alle notizie sempre più inquietanti riguardanti Silvio da Arcore. Non per simpatie lettiane o comunque di sinistra, ma per un’analisi dei fatti storici in ambito mediatico che lasciava e lascia una gran quantità di punti interrogativi aperti. Nel momento in cui i peana in suo onore si moltiplicano, pur riconoscendo il suo indubbio talento politico e soprattutto comunicativo, non si può non ritornare a questi punti interrogativi senza per questo volersi unire ai “giustizialisti” che hanno aperto una quantità di processi contro il Cavaliere, peraltro con risultati francamente miseri.
La carriera politica di Berlusconi è cominciata in effetti con una girandola di relazioni politiche avviate dal magnate milanese, concentrate in particolare nell’entourage craxiano, che ha portato ad un lasciapassare legislativo per la carriera politica di Berlusconi, cioè la legge Mammì sull’audiovisivo, che ha permesso all’ex presidente di Mediaset di avere quegli strumenti atti a farlo salire al potere, cioè di mantenere le sue tre televisioni, studiate apposta per “coprire” tutta quell’area popolare che gli avrebbe assicurato la scalata ai palazzi romani. In che modo Berlusconi ha ottenuto quella legge? La storia lo dirà. Certo è che da quel momento è iniziata la sua folgorante carriera nella cosa pubblica.
Scrive la giornalista Maddalena Maltese, attenta osservatrice del panorama audiovisivo italiano: «Penso non ci si possa esimere dal citare la sua genialità e l’astuzia nell’aggirare il sistema di leggi sui media in vigore negli anni Ottanta, quando mandava videocassette con lo stesso programma a tante emittenti locali, da trasmettere in tempi differiti creando di fatto un network nazionale parallelo a quello statale. Quanto poi avere avuto il 45% di share nei programmi delle sue reti abbia inciso sulla sua prima elezione, resta una domanda aperta, come tale resta quella su un controllo al limite del monopolio sulla pubblicità e sul mercato editoriale che hanno finanziato la sua “discesa sul campo”. Ha saputo fare studi di mercato futuristici e con Italia 1 si è formato una parte della generazione di quarantenni odierni, cresciuti con il mito delle serie americane e di Beverly Hills. Serie che ha saputo sdoganare anche su Canale 5, la sua rete di punta che ha tenuto incollati allo schermo milioni di spettatori invaghiti dei ricchi petrolieri di Dallas».
Così continua Maddalena Maltese, «ha aperto l’Italia allo stile di vita d’oltreoceano che andava ben oltre le commedie americane degli anni Cinquanta e i western popolari. E così mentre la Rai provava a raccontare il Paese, Berlusconi e le sue reti lo proiettavano alla globalizzazione e all’American way of life, con la piccola nicchia di Rete 4, che con le sue telenovele ha mantenuto vivi i sentimenti romantici dei babyboomer… i pensionati di ieri e di oggi su cui ha continuato ad investire anche nella sua ultima campagna elettorale».
Berlusconi è riuscito, prima della nascita dei social – e in questo è stato un personaggio che sarebbe stato attentamente studiato da Marshall McLuhan –, a parlare direttamente con i propri potenziali elettori, inventando immaginifiche e geniali operazioni elettorali come il “contratto con gli italiani”, eliminando i diaframmi della politica politicante che non riusciva più a parlare ai cuori degli elettori: il suo principale erede in questa “presa diretta” con il pubblico è guarda caso Giorgia Meloni, ancor più di Matteo Salvini, che pure ne aveva imitato il contatto diretto con gli elettori, pur se ingabbiato in una “campagna pubblicitaria” senza scrupoli.
Qualche scrupolo Berlusconi invece lo aveva, se comunque si è rivelato, nonostante gli sgambetti (chiamiamo così le compravendite di deputati e senatori) a colui che per due volte lo aveva battuto alle elezioni (Romano Prodi, non Massimo D’Alema), un uomo delle istituzioni. Diciamo piuttosto che lo è diventato andando avanti con l’età e con l’esperienza politica, mutando nei fatti la sua strategia politica e comunicativa (mai disgiunte!), apparendo sempre più il garante della libertà democratica degli italiani (e forse pensava di esserlo anche per tanti altri europei). In ciò è stato maestro per non pochi leader stranieri, come Taksim, Piñeiro, Trump e Bolsonaro.
Berlusconi ha anticipato per certi versi la comunicazione internettiana, ma alla fine è stato superato dagli eventi e non è riuscito a salire sul treno dei social, vivendo così, in certo modo, una débâcle politica non da poco, concretizzatasi dapprima nel sorpasso di Salvini e poi nell’affondo della Meloni. Il crepuscolo degli dèi è stato così vissuto anche da Silvio, attorniato da personaggi forse improbabili e forse non proprio specchiati. Ma tant’è, ora riposa in pace, e chissà cosa succederà del suo “impero mediatico” che ha vissuto per decenni grazie agli appoggi politici diretti o indiretti, e che ora forse si ritroverà un po’ più scoperto di fronte agli appetiti nostrani e d’oltralpe.
Resta il grande dubbio sulle sue responsabilità per un certo, indubbio degrado della vita pubblica e privata degli italiani, indotto secondo non pochi osservatori dalla sua potenza di fuoco mediatica. La domanda è semplice: i suoi altalenanti comportamenti in quanto a morale personale e pubblica (un mescolamento assai studiato, quello suo tra affari privati e pubblici) hanno avuto responsabilità dirette o indirette sugli italiani? È stato espressione di un mutamento già esistente nella società (che ha saputo intercettare e in qualche caso guidare), oppure è stato lui l’artefice di tale degrado etico? Certamente ha partecipato attivamente a una tendenza narcisista e relativista, naturalmente capitalista, già esistente. Ed è stato un campione della famiglia a geometria variabile, con buona pace di chi lo sosteneva nell’ambito cattolico per la barriera da lui opposta al partito comunista e ai suoi alleati, chiudendo tutti e due gli occhi sui tanto sbandierati “valori non negoziabili” proprio in ambito morale personale e familiare. Ma questo è un altro discorso: le responsabilità condivise tra esponenti del cattolicesimo e Berlusconi saranno studiate dagli storici.
Italo Calvino sosteneva che una delle qualità del comunicatore del XXI secolo sarebbe stata la leggerezza. Berlusconi è stato in effetti un campione di leggerezza comunicativa, ma certamente non quella ipotizzata dallo scrittore toscano, intrisa di consapevolezza e cultura. Leggerezza volatile, non leggerezza sostanziale sembra essere stata quella del Cavaliere. Anche in questo caso, la storia giudicherà.
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