La legge marziale è un passo obbligato
Da troppi mesi vanno avanti le proteste nella capitale thailandese di Bangkok, mentre da circa sei anni il Paese è ancora ostaggio di gruppi di potere che esercitano l’arte del tornaconto di parte, più che la ricerca del bene comune e il beneficio di tutta la nazione.
Era un passo necessario l’entrata in scena del capo dello Stato maggiore Prayuth Chan-ocha e dell’esercito, come avevo annunciato nei precedenti articoli e come anche tanta gente, soprattutto nella capitale, auspicava da mesi. Ufficialmente ci sono stati 28 morti e decine su decine sono stati i feriti, anche se in realtà il numero è certamente più alto e fonti non ufficiali certificano un migliaio. I soldati, ritenuti i garanti della democrazia e della difesa della pace del Paese, sono stati a guardare, per mesi, e hanno atteso fino al limite della sopportazione, prima di scendere in strada e destituire la premier Yingluck Shinawatra. Per l’Occidente vedere le foto di soldati in strada, con mitragliette d’assalto (senza caricatore), o camionette verdi all’ingresso dei famosi centri commerciali, tra i più grandi dell’Asia, fa paura e fa facilmente gridare alla fine della democrazia. Per i thai invece è cosa normale. Negli ultimi 40 anni quanti sono stati i colpi di Stato? Così tanti che nessuno riuscirà a dirvi il numero esatto. Alcuni sanguinosi, altri meno, eppure il Paese si è sempre rialzato e il "tigrotto" economico thai ha continuato a ruggire, a far sentire le sue "zampate".
Il popolo, la gente comune si sente protetta quando i soldati sono nelle strade, perché si crede che saranno risparmiati da lanci di bombe o da pallottole vaganti, soprattutto le pericolose M79 che fanno davvero paura quando vengono lanciate da auto in corsa verso la folla. Si tratta un ordigno che è considerato un’arma da guerra distruttiva e che a Bangkok è stata usata, diciamo, abbastanza spesso contro la polizia, contro la gente. La presa di posizione dei militari implica un ritorno alla calma e alla pace sociale mentre si riscrivono le regole delle elezioni, si eliminano le leggi ingiuste e in qualche modo si riparte da zero. Soprattutto si può andare a lavoro tranquilli e si può riprendere un ritmo normale anche se per la notte, almeno per un periodo, è stato proclamato il coprifuoco, ma sinceramente è quello che la gente voleva.
Dopo la cacciata del primo ministro la situazione non è molto cambiata: l’opposizione, guidata da Suthep Thaugsuban ha continuato a chiedere, come fa da quasi un anno, azioni radicali che potessero cancellare completamente il sistema di corruzione di Taksin, fratello di Yingluck, esiliato dopo una condanna a due anni per corruzione. Questo ha significato destituire completamente la classe dirigente attuale, arrivata al potere con la compravendita di voti (cosa abbastanza comune in Thailandia) e con promesse populiste e irrealizzabili. Cacciarli ha significato bloccare progetti che hanno dissanguato le finanze del Paese e che miravano a far più ricchi i già ricchi, i politici e la gente influente. In questo momento difficile da gestire, soprattutto perché le camicie rosse si sentono spodestate di una vittoria assegnata loro dalle discusse elezioni, c’era davvero bisogno di porre la parola fine (almeno per il momento) alla sanguinosa disputa politica.
La Thailandia è una nazione troppo importante per gli equilibri geo-politici della regione per poter tollerare un colpo di Stato improvviso e inaspettato: le risorse naturali sono consistenti, il turismo è fiorente e il sistema finanziario, che fa invidia e gola a tanti, è sano e ha retto a questi anni turbolenti. Ora bisogna calmare gli animi e disinnescare il rischio di una battaglia aperta tra la stragrande maggioranza della popolazione e le “camicie rosse” che hanno vinto sì le elezioni ma perso il potere a seguito del colpo di Stato. A margine, nel conflitto, potrebbero rientrare anche le cosiddette camicie gialle, più conservatrici, che pur uscendo sconfitte dalle competizioni elettorali mantengono il potere perché questa legge marziale in qualche modo le favorisce. Si tratterà di ricucire le spaccature e non sarà cosa facile e rapida anche perché probabilmente qualche politico dovrà abbandonare il Paese e rifugiarsi all’estero. La gente ha voglia di andare oltre, di ritrovare l’unità nazionale. La gente ha voglia di continuare ad essere "thai", cioè libera, anche se questo comporta lottare duramente contro la corruzione e a favore dei suoi valori fondativi.