La legge elettorale non è affare di pochi
La legge elettorale è un cardine fondamentale per la democrazia, ma, come sappiamo in Italia, è stata piegata ad interessi di parte. Lo ha riconosciuto l’esponente leghista Roberto Calderoli che ha definito una “porcata” la legge elaborata dallo stesso parlamentare per le elezioni politiche del 2006, 2008 e 2013, fino alla pronuncia di parziale incostituzionalità emessa dalla Corte Costituzionale nel 2013.
Anche la legge elettorale in vigore dal 2017, che prende il nome dall’esponente Pd ora di Italia Viva, Ettore Rosato, è oggetto di severe critiche di fedeltà costituzionale da parte di un folto gruppo di giuristi autorevoli tanto che sembrava avviato un serio dibattito tra le forze politiche per arrivare ad una riforma concordata senza cadere nel rischio di avere un parlamento delegittimato perché eletto con una norma riconosciuta in un secondo tempo come non conforme alla Costituzione repubblicana.
È una questione così importante e delicata che non può essere gestita solo a livello di tattica tra i partiti. La stessa elezione del Presidente della Repubblica avverrà a gennaio 2022 da parte di un numero di deputati e senatori che in gran parte non saranno più presenti nella prossima legislatura per via della drastica riduzione del loro numero in forza al “taglio delle poltrone” voluta dal M5S. Dopo la scelta del nuovo inquilino del Quirinale non è improbabile, secondo alcuni, il ricorso al voto delle elezioni politiche prima del termine fissato della primavera del 2023 senza dare spazio ad una revisione della normativa elettorale vigente che permetterebbe un predominio alterato di una forza politica sulle altre con notevoli effetti a cascata sulla stabilità dell’intero sistema istituzionale.
In pratica gli attuali partiti restano arbitri assoluti delle liste bloccate dei candidati mentre le coalizioni possono ottenere una maggioranza spropositata di rappresentanza nelle due Camere con la possibilità raggiungere quei due terzi di parlamentari in grado di approvare riforme costituzionali senza sottoporsi al voto referendario di conferma.
L’evidente volontà di Mattarella di non procrastinare la sua partenza dal Quirinale apre ad uno scenario nuovo sulla stabilità del Governo Draghi legato a doppio filo all’attuale presidenza della Repubblica. Neanche la salita al colle dell’ex governatore della Bce rappresenta una garanzia di stabilità dell’esecutivo che continuerebbe a seguire il programma di Draghi con Daniele Franco, attuale ministro dell’Economia, alla presidenza del consiglio dei ministri. Segnali contrari all’uscita di Draghi da palazzo Chigi arrivano dalle colonne del Financial Times che rappresenta il decisivo “quarto partito” come De Gasperi chiamava il mondo della finanza che non vota nelle cabine elettorali ma decide comunque il destino politico degli stati.
Il dato allarmante dell’astensionismo crescente in Italia costituisce un serio problema per la democrazia in Italia, con estese fasce di popolazione che non si sente rappresentata e crede che tutto sia già deciso dall’alto così da rendere inutile l’esercizio della sovranità del voto.
Ecco perché è importante per la società civile e il mondo dell’informazione creare spazi per un dialogo aperto sulla legge elettorale che tocca il tema vivo della radice della convivenza civile e del bene comune.
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