La legalità del noi. Un laboratorio di dialogo
Legalità. Quanta retorica e quante parole vuote per raccontarla, definirla o cercare di darle un’esaustiva spiegazione all’interno di “salotti televisivi”, nei titoli dei quotidiani, purché se ne parli. Eppure, nella maggior parte dei casi, legalità è semplice sinonimo di vita, fatta di scelte, difficoltà, solitudine, strade tortuose e in salita, con cui interi territori, persone e istituzioni fanno i conti ogni giorno. Una vita che va raccontata. Una vita divenuta perno portante del libro La legalità del noi, frutto delle esperienze e dell’incontro fra il giornalista Rai Gianni Bianco e il magistrato sotto scorta dell’antimafia di Bari Giuseppe Gatti.
La città di Napoli ha avuto la possibilità di entrare in contatto con gli autori e con le realtà limitrofe, protagoniste delle pagine del libro, presentato sabato 25 gennaio nell’Antisala dei Baroni dello storico castello simbolo della città partenopea, il Maschio Angioino.
«L’esperimento de “La legalità del noi” è un grande laboratorio popolare e civile, perché non vogliamo uscire da qui portandoci un bel libro o tanti bei discorsi», ha da subito tenuto a precisare Maddalena Maltese, caporedattrice del quotidiano online cittanuova.it e moderatrice dell’incontro.
Ma perché un altro libro che parli di legalità? Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e autore della prefazione del libro, restituisce due realtà sostanziali che emergono dalle storie raccontate e che rappresentano la risposta alla solitudine e all’isolamento di quanti hanno subìto soprusi e violenze da parte delle organizzazioni criminali: “riconoscimento” di essere parte di un tutto intriso di relazione e incontro con gli altri, e “responsabilità” nella consapevolezza di ciò che le nostre azioni possono produrre, nel bene e nel male.
È a quell’isolamento che il primo cittadino, Luigi De Magistris, si appella nel suo intervento di benvenuto, definendolo «il pericolo più grande». «L’isolamento è l’antitesi del noi! Dobbiamo impedire che le persone che stanno in prima linea, in magistratura, nel mondo cattolico, nelle fabbriche, in politica, nelle forze dell’ordine, vengano isolate». E conclude: «È importante parlare, schierarsi, operando scelte forti di vita quotidiana nel rispetto delle idee e delle azioni altrui».
Eppure c’è chi è stanco delle parole e chi s’impegna in prima persona affinché quel noi si realizzi e s’infiltri nella quotidianità di diversi territori. Don Tonino Palmese, referente regionale di Libera, con tenacia e dolcezza dona ai presenti il frutto costante della “doppia” vocazione che veste la sua vita, in Cristo e nella lotta alle mafie: l’essere comunità, che fortifica e non abbandona il singolo nella sua costante prova di dolore e paura, è espressione di quel Dio trinitario, che spiega in un’ottica spirituale riprendendo le parole di don Tonino Bello: «Non è la somma di tre persone, ma è il dono dell’uno per l’altro.».
Insomma, un vero e proprio laboratorio di dialogo, confronto, scambio, reso possibile dall’esperienza degli autori arricchita dagli interventi alternatisi durante quella che doveva essere una mera presentazione di un libro. Un noi che si è concretizzato anche in quella sala del Maschio Angioino, in cui a gran voce sono risuonate solidarietà e ferma speranza, non nell’attesa di un mutamento esterno, ma nella certezza che l’essere comunità, forte e pronta a non abbattersi, si possa realizzare nell’esperienza di relazione e di incontro con l’altro.