La legalità del noi per cambiare la società
È il “Noi” che dà il coraggio di ribellarsi al sopruso. Il “Noi” che suscita la forza di denunciare nonostante la paura. Ancora il “Noi” che alimenta la speranza nel cambiamento, per un domani che vede sconfitte le mafie e prevalere la legalità.
È questo il messaggio lanciato ieri a Villa Borghese dal palco del Villaggio per la Terra, promosso dal Movimento dei Focolari di Roma insieme con Earth Day Italia. Di fronte a una platea composita, fra adulti e bambini, a parlare di legalità sono intervenuti magistrati, giornalisti, imprenditori antiracket, studenti e operatori del sociale impegnati in contesti ad alto rischio di devianza. A fare da fil rouge il volume La legalità del noi, edito da Città Nuova, scritto a quattro mani da Giuseppe Gatti, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Bari, e da Gianni Bianco, giornalista del TG3, con la prefazione di don Luigi Ciotti di Libera.
Proprio dai giovani ha preso le mosse un percorso volto a tratteggiare il valore e la forza del “Noi” nella battaglia per una cultura della legalità che investa e rinnovi tutti i contesti di vita. L’esperienza del Megaviaggio nella Costituzione italiana, un progetto che ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica, raccontata in un video dai suoi protagonisti, ha evidenziato l’importanza di far conoscere e attualizzare i principi della Carta costituzionale presso i ragazzi delle scuole, per promuovere una maggiore consapevolezza dei diritti e dei doveri insieme a un sentimento di cittadinanza e di comunità.
A seguire i Giovani per un Mondo Unito hanno raccontato la loro esperienza con i detenuti del carcere di Rebibbia: «Se le cose preziose sono nel fondo del mare, noi siamo cercatori di perle. Più che coraggio ci vuole speranza e fiducia nell’altro per costruire ponti al di qua e al di là delle sbarre».
Gli studenti del liceo ginnasio Augusto di Roma hanno poi ripercorso le molteplici iniziative suscitate dalla lettura de “La legalità del noi”, fra cui la presentazione in Senato di un ddl per promuovere l’istruzione dei giovani di etnia rom e sinti. Il 7 maggio prossimo saranno anche loro in piazza a Roma per partecipare a uno dei tanti Slot Mob contro il gioco d’azzardo che si terranno in molte città d’Italia.
Quindi la parola è passata agli adulti, da chi la mafia la combatte nelle aule di giustizia a chi le resiste “sulla strada”, denunciando con coraggio minacce e tentativi di estorsione. Tano Grasso, presidente onorario del FAI antiracket, ha spiegato che i commercianti minacciati si sentono sulle prime molto soli, ma se si uniscono e fanno fronte comune sono «più forti e la loro paura si attenua, pensano che ci si può opporre a chi minaccia, denunciarlo e mandarlo in galera». Il “Noi” ha aggiunto, «significa che ciascuno deve assumersi una responsabilità individuale e accettare una porzione di rischio». Una scelta coraggiosa, quella dei commercianti che si ribellano – ha spiegato quindi Giuseppe Gatti ̶ che muove da un sentimento di responsabilità collettiva, e che non manca di trovare sostegno proprio nella gente comune: «Nella prima udienza del processo alla cosiddetta mafia di Vieste – ha raccontato il magistrato – è accaduto qualcosa che ha colpito duramente gli imputati per mafia, il cui potere si fonda tradizionalmente sul consenso popolare. A sostegno delle vittime presenti in tribunale si sono presentate circa 60 persone per dire “siamo con voi”. In altre parole, una comunità che si ribella». È la legalità del noi – ha aggiunto in seguito Gatti – che prevale sulla legalità malata dell’io, la legalità di chi si sente parte di una comunità e riconosce l’altro come fratello a cui andare incontro che vince su quella dei boss fondata sull’intimidazione e il sopruso e sull’idea dell’altro come nemico da contrastare.
La storia coraggiosa dell’imprenditore siciliano Mario Caniglia, produttore di arance nel piccolo comune di Scordia, ha poi raccolto tutta l’attenzione dei presenti: minacciato da ripetuti tentativi di estorsione ha sempre denunciato e fronteggiato in prima persona i suoi stessi estorsori, trovandosi talvolta solo ma senza «mai scendere a patti col diavolo». Testimone al processo contro i suoi aguzzini, finiti in carcere, da anni vive sotto scorta ma con soddisfazione ricorda “la cosa più importante”: «Per l’occasione tutto il consiglio comunale di Scordia si costituì parte civile contro i boss della malavita locale. Vidi che non ero solo, le istituzioni e le associazioni antiracket della Sicilia, e non solo, erano con me».
È ancora il “Noi” che si fa motore di cambiamento nei contesti ad alto rischio di devianza, quelli delle periferie cittadine dove la marginalità e la carenza di mezzi e opportunità fa spazio alla criminalità e alimenta il disagio dei più fragili. L’esperienza la racconta Massimo Vallati, già poliziotto impegnato negli stadi, oggi presidente del Calciosociale Corviale, una società sportiva dilettantistica romana impegnata in attività pedagogiche in favore dei giovani con problemi giudiziari, di droghe e di disabilità fisiche e psichiche, con sede in una delle borgate più “difficili” della capitale: «Vogliamo cambiare le regole del calcio, che è lo sport più seguito in Italia, per cambiare le regole del mondo, cambiare noi stessi e la società. Basta doping, scommesse, violenza negli stadi, qui vince solo chi custodisce il “Noi”, ovvero l’accoglienza verso chi è in difficoltà, ma anche la democrazia della partecipazione. Qui partiamo tutti con lo stesso coefficiente, non ci sono squadre ricche e povere, con campioni o senza». Il Campo dei Miracoli è il nome, evocativo, che è stato scelto per questa prima sede italiana del Calciosociale.
Infine l’associazione Libera contro le mafie, fondata da don Ciotti. Uno degli operatori romani ha annunciato l’apertura, proprio ieri a Roma, di una biblioteca pubblica costruita dopo anni di battaglie su una proprietà confiscata a uno dei boss della banda della Magliana, fra le più efferate organizzazioni della criminalità organizzata romana.
Le parole di Paolo Borsellino, pronunciate dal magistrato dopo la morte di Giovanni Falcone e poco prima di essere anch’esso ucciso dalla mafia, fanno da suggello all’incontro: «La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità».