Se la Lega vince in Sardegna

Il messaggio di Salvini continua ad attrarre gli elettori e si prepara al test decisivo delle europee del prossimo maggio
ANSA/FABIO MURRU

Ha ragione Matteo Salvini a dire che ha centrato l’ennesima vittoria elettorale consecutiva  con la conquista del governo regionale in Sardegna. Il senatore leghista Christian Solinas è andato ben oltre il cosiddetto “voto di carta” degli exit pool, che lo stimavano quasi in pareggio con Massimo Zedda, il candidato del centro sinistra e sindaco di Cagliari.

Solinas, già assessore in una precedente giunta regionale guidata da Forza Italia, ha portato a compimento il passaggio del Partito sardo d’azione, di cui è segretario, nell’orizzonte dei “popoli sovrani” promosso dalla Lega. Può rappresentare un modello per altre regioni meridionali, che associano la riscoperta della propria identità alla fisiologica attrattiva di un leader popolare come Salvini.

Ma la questione isolana ha un tratto del tutto originale perché quel partito “sardo” ha avuto un peso importante nella storia della Repubblica. Emilio Lussu, uno dei suoi più autorevoli fondatori, resta una figura centrale dell’antifascismo nazionale, oltre che un formidabile scrittore, come chiunque può verificare leggendo i brevi capitoli de “La marcia su Roma e dintorni”. Il libro è, in qualche modo, un viaggio dentro la “nazione sarda”, facendone cogliere gli elementi di estrema dignità , ma anche raccontando l’inarrestabile veloce passaggio all’obbedienza al regime di molti dei suoi conoscenti più stretti negli anni ’20, che pure avevano difeso in armi l’allora deputato Lussu dagli attacchi dei picchiatori in camicia nera. Una conferma dell’adesione quasi assoluta che Mussolini registrò in quegli anni in Italia, interpretando il vento del tempo.

Il neo governatore sardo vanta anche un significativo legame storico con Francesco Cossiga, ex presidente della Repubblica scomparso nel 2010, ma riconosciuto tuttora come un maestro da personaggi in vista come il ministro Paolo Savona.

C’è quindi da chiedersi quale saranno le scelte importanti della nuova giunta in un territorio attraversato da una tale crisi che, alla fine del 2018, la popolazione residente è diminuita di 9 mila abitanti rispetto al 2017 ( dati Istat Cna).  Parliamo di una grande isola abitata da un milione e 639 mila abitanti, cioè poco più della metà della popolazione residente a Roma, ma dove si giocano interessi speculativi sulle coste marine e, allo stesso tempo, si rischia di abbandonare il restante prezioso patrimonio ambientale e culturale.

La drammatica vicenda della produzione di bombe da parte della tedesca Rheinmetall, nel Sulcis Iglesiente, dimostra l’inesistenza di politiche industriali di lungo periodo, mentre la disperazione dei pastori produttori di latte ovino, esplosa a ridosso delle elezioni, ha messo in evidenza la carenza di filiere produttive capaci di resistere agli interessi della grande distribuzione organizzata. Così come è evidente che l’intera economia dell’isola non può reggersi sul turismo stagionale dei ceti abbienti ed esclusivi.

Di fronte al fallimento delle classi dirigenti dei due tradizionali poli politici, non si comprende, a conti fatti, la rapida discesa di consensi subita dal M5S in un solo anno ( dal 42% del marzo 2018 all’11% di febbraio 2019).

Di Maio, come super ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, avrebbe potuto ritagliarsi uno spazio pubblico significativo sulla vertenza dei pastori sardi, che, invece, ha lasciato mediaticamente in mano al suo collega Salvini, titolare degli Interni.

Eppure i pentastellati potevano vantare sul posto esponenti per niente improvvisati, come il deputato Pino Cabras, campione di consensi alle elezioni politiche, ed esibire la diversità di chi si presentava per la prima volta nelle competizioni regionali.

Sembra, quindi, che sul risultato del 24 febbraio abbia esercitato un peso significativo il richiamo di storiche appartenenze, registrando perfino un leggero aumento della percentuale dei votanti, trascinati da un sentire comune in diverse parti d’Italia che si orientano verso la destra a trazione leghista.

Secondo la stragrande maggioranza degli osservatori, sembra irreversibile la conferma di tale tendenza anche alle elezioni europee del 26 maggio e il conseguente cambio di governo a livello nazionale.

Con la fine dell’esperimento del contratto giallo verde verrebbe meno la funzione pentastellata, vantata da Beppe Grillo, di contenimento del disagio sociale crescente abitualmente intercettato, in tempi di crisi economica, da una destra che offre sicurezza.

E, nel voto di maggio, che resta proporzionale, conterà molto la scelta del simbolo come potere da esercitare all’interno delle coalizioni possibili. Ecco perché i giorni che ci separano dalle elezioni europee si rivelano decisivi per il futuro degli equilibri politici ed istituzionali del nostro Paese.

 

 

 

 

 

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