La Lega Nord al bivio
Il coinvolgimento della Lega Nord in vicende di malagestione di fondi provenienti dal finanziamento pubblico sembra segnare un confine estremo che svela la pervasività della leggerezza, se non della corruttela, che invade la gestione del denaro pubblico. Certo, tutto serve; e anche questi fatti, uniti agli altri che riguardano la Margherita, sono serviti a concentrare l’attenzione generale sulla disciplina delle fonti pubbliche di sostegno dei partiti. Il quadro è davvero degno della “casta”: sotto la pudica voce “rimborsi elettorali” si nasconde un vero e proprio finanziamento, in più privo di vere regole e controlli, che esorbita non solo dalle spese elettorali, ma anche dalla stessa capacità di spesa di ogni partito. Ecco quindi la necessità di investire il denaro in eccesso, pratica divenuta talmente normale che è parsa una proposta moralizzatrice quella di inserire l’obbligo di investire solo in titoli di Stato (italiano, si spera). Infatti, si è registrata anche l’originalità degli investimenti tentati dalla Lega Nord in Tanzania, per di più inquinati dall’ombra della ’ndrangheta.
In effetti, tra tutte, la vicenda della Lega è quella che ha colpito di più, innanzitutto per la “diversità leghista”: non un partito ma un movimento, che ha cura degli interessi del Nord e non di quelli personali, che “va a Roma” solo per ottenere il federalismo e garanzie di pulizia. E invece, anche per la Lega, fare i conti con l’animo umano (ebbene sì, anche se “padano”), si è rivelata l’avventura più imprevedibile.
Certo, la Lega ha reagito con un senso della cosa pubblica mancato ad altri: dimissioni (addirittura di Umberto Bossi dalla guida del partito), espulsioni e persino la rinuncia alla prossima rata di finanziamenti. Roberto Maroni, che di fatto ha assunto la guida del movimento, non ha perso tempo. Però, spiace dirlo, ha perso (almeno finora) l’occasione per la vera sterzata che ci si attende: l’abbandono delle tentazioni secessionistiche e dei richiami para-razzisti. Da questo punto di vista il suo discorso al raduno dell’“orgoglio leghista” ha deluso, restando lontano dall’innestare davvero la Lega Nord nel solco della storia, rendendola capace di unire anziché di dividere.