La Lampedusa che non c’è

Per accogliere il premier predisposti piani di lifting dell’isola, bloccati però dagli abitanti: «Bisogna essere consapevoli del dramma che stiamo vivendo»
lampedusa

Gli sgomberi di quella che ormai è nota al mondo come la collina della vergogna sono cominciati alle 9 di ieri mattina. Gli immigrati che alloggiavano, se così possiamo dire, in tende di fortuna sono stati ammassati sul porto e, con dei pullman, è iniziata la spola verso il centro d’accoglienza. Lampedusa ha cominciato presto a prepararsi alla visita del presidente del Consiglio. Alle tre del mattino erano partite le pulizie straordinarie del porto, per liberarlo da cumuli di spazzatura puzzolenti e che certamente non avrebbero offerto una bella immagine dell’isola. Sgombrata da bambini e donne anche l’area marina protetta: a fianco c’è la sede provvisoria del Comune sulle cui scale il presidente avrebbe tenuto il suo discorso alla popolazione.

 

Un restyling generale che non è però piaciuto ai lampedusani che sempre alle nove, in contemporanea agli sgomberi, si sono piazzati sotto il Comune, intimando al sindaco di fermare qualsiasi operazione che potesse modificare la realtà di questi 50 giorni, in cui l’isola è diventata un grande centro d’accoglienza all’aperto senza strutture adeguate, cibo sufficiente, servizi in numero consono alle presenze. Il sindaco ha ceduto, ma il lifting è continuato sui manifesti pro e contro Berlusconi: strappati i primi, garbatamente eclissati i secondi, alcuni dei quali scritti in arabo con parallelismi non lusinghieri con Ben Alì.

 

Alle tredici, ora di arrivo del presidente, tutte le tende rattoppate e miseramente posizionate sulla collina erano vuote: scopriremo più tardi che la strada di accesso alla villa che Berlusconi ha appena comprato sull’isola attraversa quel luogo, dove l’umanità è stata sconfitta. «Motivi di sicurezza», le ragioni ufficiali, «occultamento della verità» per gli isolani.

Hanno riservato un saluto festoso al primo presidente del Consiglio che mette piede sull’isola delle tartarughe, i trecento (pochi, su più di 5 mila) lampedusani intervenuti. Tanti hanno preferito restare al lavoro e chi considerava questa visita tardiva non ha voluto presenziare alla cerimonia.

 

Nessun tunisino ammesso, anche se qualcuno è riuscito ad infiltrarsi tra i mille agenti sbarcati ieri proprio per garantire la sicurezza, eppure in tanti ironizzavano sul fatto di dover sventolare bandiera tunisina e non lampedusana, dati i numeri invertiti tra residenti (5.500) e gli ospiti (6.800). A quale isola stava parlando il presidente? I tunisini in strada chiedevano costantemente a tutti se questa visita avrebbe annunciato il rimpatrio forzato, ma nessuna notizia è stata palesata.

Gli animi si sono scaldati, man mano che il piano di sgombero e i progetti per Lampedusa venivano proclamati da Berslusconi. Gli applausi scroscianti dei pochi presenti, però, non hanno messo a tacere il sospetto: «Sarà vero? Sono solo parole? Perché così tardi?».

 

C’è bisogno di credere a una svolta, la gente è provata da questa assenza di gestione dello Stato, dai problemi economici pressanti anche per problematiche endemiche dell’isola: costi del gasolio e rifornimento dei pescherecci, strade, elettricità, fognature, scuole, turismo annientato dagli sbarchi.

 

Berlusconi elenca le soluzioni, parla di progetti che hanno avuto l’assenso dei ministri e anche di Tremonti che questi piani dovrà finanziarli. Poi la credibilità comincia a oscillare quando entra in gioco il personale: l’annuncio dell’acquisto di una villa per «essere lampedusano e capire i problemi dell’isola». Alcuni salutano l’annuncio con un’ovazione, per altri invece è motivo di scandalo: «In due ore lui ha comprato una villa di un milione e mezzo di euro, io ho impiegato vent’anni per aprirmi un negozio tutto mio», mormora una commerciante. E i mormorii crescono sul piano immigrazione, concordato con la Tunisia. Berlusconi ha parlato di piani commerciali e di sviluppo in loco, ma poi ha detto di «aver comprato dei pescherecci per impedire lo sbarco, così quando andrò in pensione mi darò alla pesca e vi farò concorrenza». Il discorso non è certo piaciuto a Giovanni, che sa quanto costa un peschereccio e quanto si fatica in barca.

 

Infine la proposta del Nobel per la pace. «Ma siamo sicuri?», hanno ribadito alcuni assessori che preferiscono l’anonimato. Forse ai lampedusani sarebbe bastato un grazie e questo purtroppo non è stato palesemente espresso. Forse la prima cosa necessaria all’isola che c’è.

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