La laicità e i suoi conflitti
La laicità, ai nostri giorni, è diventata un elemento che sempre più spesso accompagna e qualifica notizie capaci di tenere in piedi un intero telegiornale. Le polemiche si accendono, costantemente, quando la politica deve affrontare temi oggi definiti eticamente sensibili – come se ce ne fossero altri che, invece (ma non è così), si sottraggono al problema del bene e del male -, quali la procreazione artificiale, l’aborto, l’eutanasia. Sono questi i luoghi inevitabili dei conflitti di laicità, che si accendono regolarmente tra coloro che ritengono un’invasione di campo l’intervento delle istituzioni ecclesiastiche, e coloro invece che lo esigono come un atto dovuto, tra chi vorrebbe la religione confinata esclusivamente nel privato e chi non disdegnerebbe il ritorno del papa-re. Il dibattito sulla laicità ha ricevuto un ulteriore e drammatico impulso dalle problematiche legate alla religione islamica: la Francia ha prodotto recentemente una legge contro l’ostentazione dei simboli religiosi nelle scuole; ma il tema del velo ha raggiunto da poco anche l’Italia. Tutti ricordiamo i problemi seguiti alla pubblicazione delle vignette irriguardose su Maometto. La laicità comincia anche a contare i suoi martiri; è di due anni fa l’omicidio del regista olandese Theo van Gogh, già minacciato da estremisti islamici per avere rea lizzato il film Sottomissione, che affrontava il fenomeno della violenza sulle donne in alcune società islamiche; Ayaan Hirsi Ali, la somala naturalizzata olandese che aveva collaborato con lui, vive ancora sotto scorta. Una certa laicità si sente minacciata. Escono libri che associano la laicità all’idea di un imbroglio che i laici subirebbero; uno studioso notoriamente misurato, cui tutti, ritengo, dobbiamo qualche cosa, il filosofo Carlo Augusto Viano, intitola il suo ultimo libro: Laici in ginocchio. L’intreccio gridato tra filosofia e drammi quotidiani porta la laicità in prima pagina; ma non è detto che aiuti a capirla. Cominciamo col domandarci che cosa essa significhi. La parola ai filosofi Dato che i filosofi sono entrati nella cronaca, chiediamo il loro aiuto per dipanare la matassa. Nicola Abbagnano è stato l’autore di uno dei più diffusi manuali di storia della filosofia della seconda metà del Novecento; ancora oggi, con gli aggiornamenti del suo continuatore Giovanni Fornero, è fra i testi più diffusi nei licei. Ma una diffusione ancora maggiore l’ha avuta quando un grande gruppo editoriale, quest’anno, ha distribuito la sua Storia della filosofia completa di Dizionario, a un prezzo molto basso in aggiunta al quotidiano o al settimanale. Nella voce laicismo, Abbagnano scrive: Con questo termine si intende il principio dell’autonomia delle attività umane, cioè l’esigenza che tali attività si svolgano secondo regole proprie, che non siano ad esse imposte dall’esterno, per fini o interessi diversi da quelli cui esse si ispirano. Questo principio è universale e può essere legittimamente invocato in nome di qualsiasi attività umana legittima: intendendosi per attività legittima ogni attività che non ostacoli, distrugga o renda impossibile le altre. Nel principio del laicismo , come Abbagnano lo chiama, egli inserisce molte cose e importanti: la raggiunta consapevolezza del valore dell’essere umano non solo per il suo destino trascendente, ma anche nell’esercizio della sua dimensione naturale e storica; la formazione di una coscienza personale libera e matura, capace di riconoscere e difendere i propri diritti e di imporsi dei doveri, senza alcuna costrizione da parte di poteri esterni; lo sviluppo di una intelli- genza critica, che porti, attraverso le diverse discipline e i diversi modi con i quali si può esprimere, alla libera formazione delle opinioni, allo sviluppo della conoscenza scientifica, alla ricerca della verità in ogni campo dell’esistenza; il riconoscimento della capacità umana di darsi regole e leggi, di scegliere e organizzare le proprie istituzioni; l’affermazione dello Stato di diritto, garante delle libertà e della tolleranza delle diversità. A questo punto, però, si deve sollevare un’obiezione: è fortemente arbitrario mettere sotto la voce laicismo tutto ciò che Abbagnano vi inserisce; il termine laicismo, infatti, è venuto assumendo negli ultimi decenni connotati ideologici, in particolare di tipo antireligioso, che non si rispecchiano nelle parole del filosofo. Si dovrebbe, più propriamente, parlare oggi di laicità e attribuire ad essa ciò che Abbagnano metteva nella sporta del laicismo: in caso contrario, una particolare posizione ideologica contemporanea – il laicismo antireligioso, appunto -, si approprierebbe di una tradizione che contiene, invece, ben altre ricchezze, anche di origine religiosa. Correttamente intesa, l’idea di laicità raccoglie i frutti del lungo cammino storico che ha portato al riconoscimento della corretta e reciproca autonomia dei diversi campi dell’attività umana, liberandoli da ogni forma di controllo ideologico e totalitario che impedisce il loro sviluppo e la libera espressione delle persone che vi agiscono. La laicità è il frutto di una cultura del rispetto e del limite: non è un caso che tale idea giunga alla sua piena formulazione nel corso del Novecento, il secolo che ha sperimentato proprio il non-limite nell’uso istituzionale della forza, che i diversi regimi totalitari hanno fatto, per imporre verità e confessioni ufficiali. Questa idea di laicità, proprio perché maturata anche attraverso la dura esperienza della violazione dei più essenziali diritti delle persone e dei popoli, non significa dunque affatto assenza di regole e di autorità, purché liberamente istituite o riconosciute. La libertà della persona nel suo agire, così come il libero sviluppo della ricerca della verità, deve avere come guida non certo una imposizione esterna, ma la verità stessa contenuta nelle cose, e prima di tutto nelle persone e nei loro diritti: questa stessa verità che sta dentro le cose e che chiede riconoscimento e rispetto può costituire, per il vero laico, un limite molto più rigoroso e invalicabile di qualunque potere esterno. Abbagnano stesso indica due campioni di questa ricerca libera e rigorosa: Guglielmo d’Ockham, che rivendicò la libertà di pensiero filosofico, e Galileo Galilei, che fece la stessa cosa in campo scientifico; il primo era un frate francescano, il secondo una persona di profonda religiosità cristiana. Ma allora – il sospetto viene -, non ci sarà un legame profondo tra il cristianesimo e l’affermarsi della laicità? Cristianesimo e laicità In effetti, il primo importante atto che storicamente dà origine a quella cultura della distinzione e del limite che sta alla radice della laicità, è generalmente riconosciuto essere quello di papa Gelasio I, che nel 494 si rivolge all’imperatore Atanasio, rivendicando l’esistenza di una autorità del pontefice oltre al potere del re. Con Costantino il cristianesimo era diventato religione dell’impero; se da un lato le persecuzioni erano finite, dall’altro lato l’imperatore – già romano e ora anche cristiano – si trovava investito di una sacralità che prima non aveva; e non apparteneva alla mentalità antica separare lo Stato dalla religione: veniva molto più spontaneo, piuttosto, rinforzare l’uno con l’altra; la religione si trovava così sottomessa ad un imperatore che tendeva ad interpretare sia il ruolo del comando sia politico sia religioso. Per questo l’atto di papa Gelasio si può definire rivoluzionario: perché spezza l’ideologia dell’impero universale che aveva sostenuto i grandi regni dell’antichità; un’ideologia in virtù della quale ogni persona e ogni attività umana trovavano il loro senso ultimo nel sovrano, che governava in rappresentanza del divino. È interessante il fatto che Abbagnano riconosca l’importanza di Gelasio, ma non rimandi al fondamento sul quale il papa si basava: il primo atto che storicamente spacca l’unità politicoreligiosa del mondo antico, e di cui bisogna tenere conto nella storia delle idee, è in realtà compiuto da Gesù stesso, quando separa ciò che è di Cesare da ciò che è di Dio: in quelle parole riportate Matteo (22, 21) si conclude l’antica ideologia dell’impero sacro. È vero che quell’ideologia si rivelerà talmente forte da riuscire in parte a rientrare, successivamente, all’interno della stessa Chiesa, la quale impiegherà del tempo per liberarsi di taluni aspetti dell’antica mentalità sopravviventi in epoca cristiana: non si può nascondere il pedaggio che la Chiesa ha pagato alle mentalità delle diverse epoche. Ma non si deve neppure ignorare gli elementi di reale progresso che essa ha introdotto nella storia umana; elementi che, pur avendo anche una radice nella Rivelazione, sono stati trasmessi alla cultura umana in forma pienamente razionale e, per questo, sono stati assimilati e vissuti da credenti e non credenti. Con Tommaso d’Aquino, ad esempio, si sviluppa l’idea di una autonomia delle realtà naturali: la natura vive in base ad una propria legge, data da Dio, ma appartenente alla natura; e sulla base della legge naturale, gli esseri umani sono capaci di dare a se stessi, liberamente e razionalmente, le leggi positive di cui hanno bisogno, e il titolare di tale potere sovrano è l’insieme del popolo (totius multitudinis). È in pieno Duecento che vengono poste le basi della moderna concezione della laicità. Il cristianesimo dunque collabora a più riprese alla formazione di una cultura della distinzione e del limite.Non deve stupire, allora, che la visione alta della laicità sia pienamente condivisibile dal punto di vista di una cultura cristiana. La libera coscienza laica non esclude il riconoscimento dell’esistenza di una autorità religiosa, nei confronti della quale tale coscienza non perde la propria libertà, anzi: proprio dall’autorità religiosa ha ricevuto storicamente, a più riprese, una chiara nozione di tale libertà. Non sono dunque improvvisate le affermazioni della Gaudium et spes che il papa Benedetto XVI ha ricordato, in occasione del suo incontro, lo scorso anno, con l’allora presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi: le relazioni tra Chiesa e Stato sono fondate sul principio enunciato dal Concilio Vaticano II, secondo cui la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane.