La guerra spiegata ai poveri
È una risata sempre più amara quella che ci sfugge di bocca man mano che assistiamo a La guerra spiegata ai poveri di Ennio Flaiano. Dalla leggerezza si passa al sarcasmo, fino al disagio. E se è vero l’aforisma dello scrittore Nabokov – una risata è il miglior pesticida – l’humour nero di questa pièce sortisce l’effetto di non pulire le nostre coscienze. A esporre le motivazioni giuste e nobili sull’utilità di ogni conflitto bellico, è un gruppo di cinici ministri impegnati prima in una conferenza stampa in cui illustrano con soddisfazione l’imminente inizio delle ostilità; quindi nel chiuso di una riunione per concordare e programmare strategie da adottare, finanziamenti e quant’altro per le guerre presenti e future. Una sorta di manifesto che include la necessità di avere un nemico per motivare ogni tipo di attacco, e dove ci si fa beffa del valore della vita umana. A interromperli arriva un giovane e sprovveduto obiettore che domanda i motivi per cui dovrebbe sacrificare la propria vita. Da qui un’alternarsi di interventi dei singoli rappresentanti del potere e delle istituzioni per convincere il poveretto – infine con successo -, e giustificare, in quanto unica possibilità di essere Storia, la necessità dell’attuale conflitto e, soprattutto, del prossimo che verrà. Quando poi il giovane ritornerà come fantasma, sdraiato sul tavolo per riposare in pace, una lapide lo ricorderà con le parole: Fu convinto con le buone. Ironica e pungente satira in cui l’assurdo si confonde col reale e dove il grottesco cede il posto ad una inconsapevole autenticità e verità, la commedia di Flaiano risulta drammaticamente attuale. E ci rimanda inevitabilmente alle nostre odierne passerelle televisive dei tanti potenti di turno che usano la tribu-na mediatica per i loro proclami, cosa che lo stesso Flaiano già negli anni Settanta profetizzò: Fra trent’anni gli italiani non saranno come li hanno voluti i partiti, ma come li avrà fatti la televisione. La scarna ma efficace messinscena composta da leggii e da un tavolo ingombro di carte geografiche e carri armati in miniatura per le tattiche belliche, è affidata alla bravura (in blocco) di sette attori: Massimiliano Giulio Benvenuto, Francesco Cutrupi, Vanessa Scalera, Davide D’Antonio, Arcangelo Iannace, Francesco Frangipane e Toni Fornaio, cantastorie che intona brani di De Andrè, Trilussa e Boris Vian, annota e pone domande. E si fa memoria. Va dato merito al giovane regista Frangipane d’aver riscoperto questo testo dettato dalla necessità di recuperarlo dall’oblio, farci riflettere ridendo e ricordarci che ci sono una trentina di conflitti in corso e altri dormienti. E ci lascia il segno ancora più incisivo della stupidità umana in fatto di guerra. Al Teatro Argot di Roma.