La guerra non si ferma e la gente continua a morire
Le notizie diplomatiche si susseguono. Dopo la speranza nata dalla tornata turca dei colloqui per un cessate il fuoco in Ucraina − guai a parlare di colloqui di pace, siamo ancora molto prima, siamo alle negoziazioni −, dopo che Mosca ha dapprima annunciato di aver cambiato i suoi obiettivi e di non considerare più la presa di Kiev come priorità, con un concentramento delle forze nel Donbass; dopo la ritrattazione di tali dichiarazioni da parte di Mosca, qualche ora appena dopo l’annuncio del riposizionamento; dopo che il presidente Zelensky, nelle sue ormai quotidiane conferenze via zoom con i parlamenti del mondo intero, ha manifestato speranze e delusione in alternanza; mentre i missili e i droni russi non hanno cessato di far danni, contraccambiati da quelli ucraini, forniti da tanti Paesi Nato; dopo che le forze ucraine e russe subiscono l’usura della guerra che s’allunga, poveri soldatini di leva alle prese col mostro della paura; dopo che l’Ucraina ha cercato di attivare spedizioni di grano all’estero via ferro e non via mare; dopo che, dopo che… Comunque la guerra continua, e la gente continua a morire.
E allora ci si rifugia nelle letture per capire un po’ meglio come si siano svolte le cose e perché si sia giunti a un tale sconquasso, sperando che la coscienza possa aprire la via alla soluzione plausibile. Ad esempio, si consiglia di leggere un libro di Sara Reginella, psicoterapeuta e documentarista, un connubio che può essere utile per capire meglio. Donbass, la guerra fantasma nel cuore d’Europa, s’intitola il libro edito da Exorma. Quale la tesi dell’autrice, che ha pubblicato il libro appena un anno fa: il “cattivo” conflitto al limitar dell’Ucraina con la Federazione russa ha spaccato dal 2014-2015 l’Ucraina in due parti. La scarsa attenzione dei media occidentali per quel bubbone purulento ha reso quasi invisibile un conflitto militare che aveva in sé delle perniciosità velenose. Le autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk hanno continuato a scontrarsi con le truppe fedeli a Kiev.
Le terre martoriate del bacino del Donec – continua a spiegare Sara Reginella nel suo libro – hanno visto aeroporti resi inutilizzabili e paesi devastati, assassini mirati e vendette familiari, in una guerra che ha assistito alla scesa in campo di cittadini altrimenti pacifici che, appartenenti alla parte russa della popolazione locale, in quelle lande maggioritaria, hanno ingrossato le fila degli eserciti separatisti. Come sempre, sembra dire l’autrice, la verità non è, non può essere solo totalmente da una parte. Certo, tutto ciò non giustifica minimamente l’aggressione subita dall’Ucraina per mano dell’esercito di Mosca 35 giorni fa, ma almeno spiega qualcosa di più sulle radici lontane del conflitto che sembra devastare la tranquilla crescita economica dell’Europa in uscita dalla pandemia.
Le guerre trascurate spesso e volentieri diventano infette e provocano metastasi in altre parti del corpo sociale. La trentina di conflitti che attualmente restano attive nel nostro pianeta – dalla “veterana”, la guerra del Sahara Occidentale, alle rivolte mai sopite in Myanmar, dalle guerre guerreggiate della zona dei Grandi Laghi nella Repubblica Democratica del Congo, alle tensioni sempre risorgenti in Afghanistan e nelle zone tribali pakistane… – andrebbe “monitorata”, come si dice in gergo giornalistico, oppure “attenzionata”, come gli sgrammaticati influencer dicono a lunghezza di giornata, andrebbe cioè presa in alta, altissima considerazione, perché in ogni guerra sopravvive il germe di altre guerre, il virus dell’aggressività continua a nutrirsi di sangue in attesa dello spillover, cioè del cambio di specie che può scatenare l’inferno.
Ogni artigiano di pace deve vigilare, come la sentinella di Isaia, perché la sua protetta è fragile come un fiore. La pace è fragile per sua natura. I russi cominciano ad ammettere che in Ucraina serviranno anni per arrivare a prendere la capitale, preconizzando una guerra infinita nel cuore dell’Europa. La guerra è facile da scatenare, ma molto più difficile da fermare. Gli psicoterapeuti lo sanno molto bene, così come i documentaristi.
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