La guerra d’Italia

A volte si ha l’impressione che una certa schizofrenia stia colpendo il nostro Paese. Abbiamo capito che al di là del mare c’è la guerra? E che nulla sarà come prima?
giovani libici

Mentre in Siria il governo si dimette e in Egitto vengono convocate le elezioni legislative per settembre, ci si accorge improvvisamente che in Libia qualcosa non va nei progetti della coalizione dei “volenterosi”. L’offensiva dei ribelli cirenaici non avanza più, e il blocco di Sirte pare insuperabile. Obama, da sempre riluttante a “impegnarsi” in Libia, sostiene che la nuova guerra non sarà come quella dell’Iraq, mentre a Londra il summit per la Libia si rivela poco più di una parata di ministri degli Esteri con pochissime decisioni pratiche, anche per l’assenza notata dell’Unione africana. In realtà, più si evoca lo spettro di un altro Iraq (e Afghanistan), e più questo scenario appare plausibile, purtroppo. Qualcosa fortunatamente si sta muovendo sul piano diplomatico, e pare che anche l’Italia si stia dando da fare. Una flebile speranza.

 

Qui da noi, invece, il campo di battaglia è considerato quello di Lampedusa (vedi la corrispondenza di Maddalena Maltese). L’attenzione è presa totalmente dalle mille telecamere concentrate sull’isola. Abbiamo ascoltato la diversità di stile tra Giorgio Napolitano e Umberto Bossi a proposito degli immigrati, mentre il governo promette soluzioni navali e sta preparando un piano d’evacuazione con grande risonanza mediatica, che forse dapprima funzionerà ma non si sa con quanto costrutto per il futuro. Lo spettro dell’Aquila è dietro l’angolo.

 

Se in effetti un’immagine potesse essere presa ad esempio per ipotizzare gli scenari dei prossimi mesi e dei prossimi anni, prenderei quella della nave “Catania” che ha sbarcato a Taranto centinaia di tunisini destinati a Manduria. Un’immagine impressionante, presa dall’alto con il grandangolo, che evidenzia la quantità dei profughi ma ancor più la loro gioventù. È questo di cui bisogna convincersi: nei Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo le popolazioni sono composte al 60 per cento da giovani di meno di trent’anni, mentre sulla nostra sponda settentrionale il 60 per cento è ultracinquantenne. La gioventù ha bisogno di lavorare, di muoversi, e mena le mani quando non ha nulla da fare. Qui da noi un giovane su quattro non studia e non lavora: s’è visto in tv l’altro giorno un giovane romano di 25 anni, Mario, che non studia e non cerca nemmeno di lavorare: «A che pro? Tutto è inutile», dice. Mentre Ahmad, un giovane tunisino, da una settimana sta cercando di entrare in Francia da Ventimiglia; a Nizza è stato respinto tre volte ma per tre volte s’è rifatto a piedi il percorso. Alla fine ci riuscirà a raggiungere il fratello a Dijon.

 

La sua testardaggine la dice lunga sulla volontà della gioventù nordafricana di conquistarsi un futuro lavorativo adeguato. Sull’esempio di Ahmad milioni di altri giovani busseranno alle nostre porte, anzi entreranno. A nulla serviranno i muri che erigeremo: la sola soluzione starebbe per l’Europa nell’investire risorse nel Sud del Mediterraneo, in modo da creare opportunità di lavoro in Tunisia, Egitto, Libia, Algeria (che prima o poi esploderà a sua volta).

 

Qui da noi nel frattempo aumentano luce e gas e si discute di riforma della giustizia e di leggi ad personam, mentre l’opposizione non riesce a trovare la quadra e parla a geometria variabile. Nel frattempo la Minetti dice di volere la Farnesina (?!?) e i talk show vengono minacciati di blocco elettorale, i predellini funzionano ancora e i reality show continuano ad avere i primati di ascolto. Mentre, quatti quatti, i francesi combattono l’Italia anche in campo industriale pretendendo libertà che a casa loro non permettono a nessuno…

Tutto va bene, madama la marchesa.

 

p.s. Mons. Martinelli da Tripoli, nella quotidiana telefonata, racconta di benzina scarseggiante, di cibo che comincia a mancare, di scoraggiamento, di bombardamenti che continuano nei dintorni di Tripoli. «Ma le forze del rais non cederanno», ne è convinto. E i fatti sembrano dargli ragione. E auspica iniziative diplomatiche che coinvolgano l’Unione africana «senza la quale non si avrebbe nessuna credibilità nei confronti del regime libico e dei libici stessi». E conclude: «Seguiamo le incoraggianti parole del papa di domenica: cessare il fuoco e avviare contatti diplomatici».

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