La guerra delle petroliere
La “guerra delle petroliere” continua. Dopo la Riah, la nave emiratina sequestrata il 14 luglio, il 20 luglio è toccato alla Stena Impero, un cargo britannico di 180 metri con 23 uomini di equipaggio, in navigazione nello Stretto di Hormuz e diretta ad un terminal saudita del Golfo Persico. Il sequestro è avvenuto ad opera di pasdaran iraniani che hanno catturato la nave calandosi da un elicottero, mentre motovedette armate la tenevano sotto tiro. La nave, di una compagnia svedese ma battente bandiera britannica, è stata dirottata nel vicino porto iraniano di Bandar Abbas.
Sepahnews, il sito internet dei pasdaran, afferma che la Stena Impero «non ha rispettato il codice internazionale» e ignorato gli avvertimenti. Una nota di Teheran aggiunge che il cargo britannico avrebbe speronato un peschereccio iraniano, ma sottolinea soprattutto la reciprocità rispetto al fermo di due settimane fa a Gibilterra del mercantile iraniano Grace 1, diretto in Siria. Teheran ribadisce di non volere un conflitto, ma avverte che non chinerà mai il capo di fronte «al nemico, sia Saddam, Trump o la regina».
Lo stretto di Hormuz, fra Iran e Oman, è un passaggio obbligato per le petroliere che trasportano greggio in tutto il mondo partendo dai Paesi produttori di quest’area: Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Iran e prossimamente anche il Bahrein. Il 20% (18 milioni di barili al giorno) del greggio mondiale passa da questo stretto braccio di mare largo appena 34 chilometri. Un blocco nel transito delle petroliere nello stretto di Hormuz, anche se solo di qualche giorno, potrebbe provocare una pesante crisi mondiale.
E se da un lato l’Iran sembra non volere il blocco totale dello stretto, che provocherebbe una spaventosa guerra con gli Usa e i suoi alleati, la marina iraniana ha però la capacità di fare danni anche con azioni mirate come quelle del dirottamento delle petroliere, inducendo per esempio un incremento notevole dei premi assicurativi e provocando instabilità pericolose nei mercati azionari. Il danneggiamento e il sequestro di alcune petroliere attuato dai pasdaran esprime questa minaccia in risposta alla tonante affermazione di John Bolton (segretario Usa per la sicurezza nazionale) di voler «azzerare» tutte le esportazioni di petrolio iraniano. È evidente fin dall’inizio (quando Trump lo scorso anno stracciò unilateralmente il trattato Jcpoa) che questo azzeramento è impossibile, se non altro per le alleanze dell’Iran con Russia e Cina. E non ci si poteva certo aspettare che Teheran subisse passivamente la guerra economica che Trump le ha scatenato contro, provocando un’inflazione che supera ormai il 50% e una perdita prevista del Pil di almeno 3,6 punti percentuali.
Oltre che con la guerra delle petroliere, dato il facile ricorso della magistratura iraniana alla pena di morte, Teheran risponde in questi giorni anche con 17 condanne capitali comminate a presunte spie della Cia in Iran. Il Congresso Usa, nelle settimane scorse, aveva tentato una mossa per contrastare in qualche modo la pericolosa escalation bocciando nuovamente la vendita di armi Usa ad Arabia ed Emirati, alleati di Trump contro l’Iran e i ribelli yemeniti, ma il presidente americano è ricorso, ancora una volta, al suo potere di veto. E intanto ha provveduto a mandare in Arabia altri 500 soldati e navi da guerra.
Paradossalmente, i Paesi indirettamente più colpiti dalle sanzioni statunitensi all’Iran sono importanti alleati strategici degli Usa come India, Corea del Sud e Giappone, oltre alla Cina e alla Turchia, grandi acquirenti di petrolio e gas iraniano.
Secondo David Singer del New York Times, Trump con la mossa del maggio 2018 (l’uscita dall’accordo Jcpoa), scommetteva che l’Iran non avrebbe ripreso il processo di arricchimento dell’uranio nonostante la fine dell’accordo; che i Paesi europei si sarebbero allineati con gli Usa abbandonando l’Iran; e che questi due fatti insieme, uniti alle sanzioni, avrebbero portato al crollo del regime degli ayatollah.
Questo processo avrebbe non solo accantonato le minacce dei missili iraniani puntati su Israele e sull’Arabia Saudita (Paesi sui quali poggia tutta la politica trumpiana in Medio Oriente), ma anche aperto la strada agli Usa per accedere al petrolio e al gas iraniani. Per adesso sembra che il presidente Usa non ne abbia azzeccata neppure una: il peso delle sanzioni grava però sempre di più sul popolo iraniano, sugli approvvigionamenti energetici di grandi Paesi asiatici e sul commercio mondiale.