La guerra dei vaccini
Un anno fa, nell’aprile 2020, ci trovavamo nello smarrimento generale per via del virus isolato per la prima volta a Wuhan e che aveva viaggiato fino in Brianza, mietendo poi vittime inattese in Europa. Avevamo ascoltato speranzosi l’appello firmato da 130 grandi firme della scienza mondiale, capeggiati da una professoressa francese di Tours, Catherine Belzung, a cui si erano per primi associati Antonine Nicoglou, professore di filosofia a Tours, Luigino Bruni, professore di economia a Roma e il Premio Nobel per la pace Muhammad Yunus. In sostanza, per Catherine Belzung e colleghi, l’efficacia di una campagna di vaccinazione si basava sulla sua universalità. E per essere accessibili a tutti, i vaccini dovevano essere privi di brevetto: «Solo un vaccino consentirà di arginare definitivamente questa pandemia – disse la Belzung −. Ma di fronte a una crisi globale, se il vaccino non è disponibile per tutti, non solo sarà una terribile ingiustizia, ma la malattia continuerà a diffondersi».
Per argomentare il suo punto di vista, Catherine Belzung citava Jonas Salk, inventore del vaccino antipolio, ma anche un esempio più recente: «L’invenzione del gel idroalcolico è stata realizzata solo vent’anni fa da un epidemiologo svizzero, Didier Pittet. Ha presentato domanda di brevetto, ma ha offerto il suo sfruttamento all’Organizzazione mondiale della sanità. Se oggi ricevesse anche solo un centesimo al litro, sarebbe multimiliardario». La Belzung, però, subito suscitò la reazione delle grandi aziende farmaceutiche – in sintesi anglofona, Big Pharma −, come ad esempio il direttore generale di Sanofi, Paul Hudson, che a Bloomberg affermò che gli Stati Uniti sarebbero stati una priorità per la fornitura di un possibile vaccino contro il Covid-19.
Da quel momento la guerra è stata lanciata. Non solo tra Stati – forse più comprensibile, anche se si tratta di un conflitto che lascia ai margini i Paesi più poveri −, ma tra le stesse industrie farmaceutiche, “l’un contro l’altra armata” per raccogliere dapprima i finanziamenti pubblici miliardari che hanno fatto la fortuna delle singole aziende e in un secondo momento per vendere i vaccini ai migliori offerenti, cioè ai ricchi, cioè a chi ha meno scrupoli, cioè a chi nella politica vedeva nei vaccini la possibilità di uscire dal tunnel della pandemia il più rapidamente possibile e quindi lucrare una possibile rielezione. Siamo in piena battaglia.
È con queste premesse che va letta l’attuale situazione riguardante il vaccino AstraZeneca, che in realtà è stato sviluppato soprattutto in ambiente pubblico, dall’Università di Oxford, e poi prodotto in larga scala commercializzato dall’azienda farmaceutica svedese. La sospensione cautelativa da parte di alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, e che salvo sorprese dovrebbe rientrare domani con il pronunciamento del “tribunale supremo europeo” in materia sanitaria, l’Ema, è un atto della guerra in corso. La quale Ema ha già espresso la convinzione che «i benefici del vaccino nel prevenire il Covid-19, con i rischi associati di ricovero in ospedale e di morte, superino i rischi degli effetti collaterali». E fin da lunedì scorso ha rilevato che «il numero di eventi tromboembolici complessivi nelle persone vaccinate non sembra superiore a quello osservato nella popolazione generale», cioè 30 casi (trenta casi) su un totale di 5 milioni di vaccinati. Poco o nulla.
L’episodio che stiamo osservando in queste ore è solamente una tappa della guerra senza quartiere che le varie aziende del Big Pharma stanno combattendo tra di loro. Un mercato lucrosissimo: pensiamo al fatto che anche solo una settimana di ritardo nella circolazione di un vaccino può spostare somme miliardarie da un vaccino all’altro, cioè da un’azienda farmaceutica all’altra. Pensiamo solo che negli Stati Uniti (tre dei vaccini che sono arrivati in testa alla graduatoria temporale su un centinaio di concorrenti sono stati Pfizer, Moderna e Johnson&Johnson, a capitale prevalentemente statunitense) il sistema lobbystico permette ai rappresentanti delle varie categorie (armi, petrolio, assicurazioni e, appunto, Big Pharma) di avere i loro rappresentanti al Congresso. È difficile che un presidente degli Stati Uniti possa essere eletto senza l’appoggio di queste grandi lobby. Con la pandemia, calando i profitti del petrolio e della vendita di armi, oltre che con la crisi dei sistemi assicurativi, sono al contrario cresciute “le azioni” delle case farmaceutiche già miliardarie, capaci di tirarci fuori dai guai immani della pandemia.
Intendiamoci, i ricercatori delle varie aziende farmaceutiche hanno fatto miracoli, approfittando anche delle sempre maggiori ricerche messe gratuitamente in comune sulle varie reti tra scienziati. Non si creda che un vaccino possa essere prodotto in pochi mesi solo per la genialità di un ricercatore: i vaccini attuali sono il risultato di sforzi congiunti di migliaia di ricercatori. Ma alla fine queste “invenzioni” sono proprietà di privati che fanno soldi con la paura della gente, che in tempi straordinari come questi della pandemia, diventa spesso angoscia e ottenebrazione mentale.
I media hanno un ruolo fondamentale da sempre nella gestione della paura dei cittadini potenziali gli elettori: in questa contingenza, basta osservare i nostri nonni di fronte alla tv e alle cifre sulla pandemia snocciolate ogni sera nei tiggì: «Va male, i morti sono schizzati a 505… va un po’ meglio, i contagi sono calati del 12 per cento…» e via dicendo. Senza filtri razionali, senza considerare che i valori quotidiani hanno poco senso, che bisognerebbe considerare non i valori assoluti ma le medie e i vari indici, i nonni (ma non solo loro) sono in balia di cifre tutt’altro che univoche nel loro significato. Approfittando del grande buco semantico dei social network, delle fake news, delle false notizie diventate normalità, nell’anonimato delle denunce, anche nelle pressioni sui singoli politici o i singoli giornalisti, Big Pharma starà forse salvando il mondo coi suoi vaccini, ma nel contempo sta facendo soldi a palate, arrivando a fare concorrenza come cifre di affari aziendali alle grandi imprese del digitale. Le quali, ovviamente, stanno facendo affari lucrosi anche con Big Pharma.
Morale della favola: prudenza, prudenza e ancora prudenza. L’infosfera è invasa dalle notizie sui vaccini, solo una parte delle quali è veritiera. Forse relativamente poche sono le notizie veramente false, ma le mezze verità stanno avvelenando il pozzo. Poche embolie, pochi ictus non sono evidenza scientifica, ma possono diventarlo per i media.
Piccola consolazione, dovuta alla legge della concorrenza dei vecchi economisti alla Adam Smith: ancora pochi mesi e sul mercato la concorrenza tra decine di vaccini riporterà la guerra a livelli più accettabili, perché i prezzi e i profitti caleranno. E speriamo che le istituzioni internazionali abbiano la forza e il coraggio di denunciare il Far West che s’è scatenato tra le imprese del Big Pharma, e sappiano valutare la necessaria presenza pubblica in casi estremi come questo di una pandemia.