La guerra commerciale Usa-Cina
Da ieri mattina, giorno di Pasquetta, la Cina ha introdotto dazi fino al 25% per 128 prodotti provenienti dagli Usa, finora liberi di entrare nel territorio cinese senza tassa. Erano decenni che non succedeva una cosa del genere. Il valore dei prodotti che vengono colpiti si aggirerebbe intorno ai 13 miliardi di dollari, contro il 60 con cui gli Usa intendono colpire l’economia cinese.
Entrambi i Paesi, Cina e Usa, essendo membri dell’organo che regola gli accordi commerciali mondiali, il Wto (Organizzazione mondiale del commercio), godevano di libero scambio reciproco su una gran parte dei prodotti che entrambi producono ed esportano. Basti ricordare un esempio, di cui poco si parla: alcuni pezzi di ricambio dei caccia bombardieri americani F-16 sono prodotti in Cina, esenti tasse, naturalmente.
La risposta della Cina non appare adeguata. Vengono colpiti dei settori statunitensi di esportazione non vitali, come frutta secca, jeans, carne di maiale surgelata, vino. Vengono esclusi tutti quei prodotti di vitale importante per la vita degli americani, come i prodotti di alta tecnologia. Di fatto, già le tariffe imposte sui prodotti cinesi mesi fa, del 35%, stanno causando licenziamenti negli Usa.
Prendiamo l’esempio dei pannelli solari: la Cina è il più grande produttore al mondo di silicone, avendo grossi giacimenti nel sottosuolo adatti a produrlo. Gli Usa comprano le cellule di silicone dalla Cina e assemblano i pannelli solari in Usa: colpendo le importazioni di silicone con dazi esorbitanti, si sono colpite nei fatti le aziende americane produttrici di pannelli solari, che si sono viste aumentare i costi del 35% per le tasse imposte da Trump. Risultato? I pannelli statunitensi sono de facto fuori mercato.
La Cina col suo atteggiamento “benevolo” sembra dire: «Non siamo disposti a rimanere seduti e guardare lo spettacolo degli Usa che impongono le loro regole». Ci sono altre mosse in cantiere, certamente. Una di queste potrebbe essere quella di bloccare le importazioni di rifiuti che devono essere riciclati in Cina. Ma Washington ha messo in guardia la Cina dall’imporre tasse o restrizioni in questo settore, in quanto ciò provocherebbe una catastrofica ripercussione sull’economia mondiale. Il South Cina Morning Post commenta stamattina che la Cina non sembra essere disposta a subire attacchi indiscriminati o lezioni di democrazia da chi vuole restringere il commercio mondiale solo a suo favore.
Intanto le aziende italiane festeggiano: vedono riaprire il mercato della Cina per i vini di casa nostra, svantaggiati finora rispetto a quelli californiani. E questo è solo un esempio.