La Grecia a rischio default
Cosa sta succedendo in Grecia (nella foto le proteste della gente)? Qual è la situazione italiana? Intervista all’economista Vittorio Pelligra
Pelligra, che cosa vuol dire che un Paese "fa default"? Quali sono le conseguenze?
«Il default di uno Stato, in questo caso la Grecia, rappresenta una situazione nella quale diventa impossibile per il debitore, lo Stato appunto, rimborsare in parte o completamente, il debito contratto. In altre parole si presenta una situazione nella quale le finanze pubbliche non sono in grado di rimborsare i titoli di stato emessi in precedenza. Questa situazione può essere “formale”, quando si sceglie volontariamente di non pagare i debiti così come ci si era impegnati a fare contrattualmente e di ricorrere a soluzioni alternative, come la “ristrutturazione”, che prevede, per esempio una dilazione del pagamento o una sua non totale restituzione (un credit event); oppure il default può essere “sostanziale”, quando diventa fattualmente impossibile qualsiasi tipo di restituzione.
«Le conseguenze, come è facile immaginare, sono disastrose, sia per i creditori, tutti quei cittadini o istituzioni finanziarie che hanno creduto nello Stato e gli hanno dato fiducia, sia per il debitore, lo Stato stesso, che perdendo credibilità a livello internazionale, non potrà più, se non a costi altissimi, ricorrere ai mercati per finanziarsi».
Si parla di una partecipazione dei privati al salvataggio della Grecia: come, e quali sono le implicazioni del fatto che parte del debito sia in mano privata?
«Il ruolo dei privati nel salvataggio della Grecia è stato da più parti ventilato. In questo caso, come prevede un piano circolato in questi giorni, si tratta di concedere ai privati la gestione dei porti, compresi quello del Pireo e delle isole minori, di aeroporti, la vendita di una quota della compagnia telefonica, la privatizzazione di altre utilities, e la parziale privatizzazione della Banca Agricola. Non è una operazione nuova: all’indomani della caduta del muro di Berlino, per esempio, vennero vendute ai privati moltissime imprese pubbliche dell’ex-Germania dell’Est, proprio per finanziare gli altissimi costi della riunificazione.
«La vera questione però è se, nel caso della Grecia, queste misure sarebbero sufficienti a fornire alle casse pubbliche risorse sufficienti a rientrare dal debito. Molti sono scettici, lo si nota dai valori dei titoli di Stato che diventano sempre più profittevoli, proprio perché più rischiosi, e dal fatto che le banche francesi e tedesche stanno svendendo in tutta fretta i titoli greci ancora in loro possesso. I calcoli poi mostrano che tale piano potrebbe avere successo solo a patto di un grande aumento della reddittività di tali attività economiche, un aumento così rilevante da non essere mai stato osservato prima in analoghe situazioni».
Bini Smaghi ha invitato la Bce ad accettare anche titoli che non offrono sufficienti garanzie: sul lungo termine, è un rischio più grosso di quello del fallimento della Grecia?
«È difficile ipotizzare un rischio maggiore di quello di default. In questo caso ad acquistare i titoli rischiosi sarebbero gli Stati dell’Unione europea e non i privati. Sarebbe dunque una decisione di carattere politico, una scelta di distribuire parte dei costi del fallimento greco tra tutti gli Stati membri. Questa scelta è anche dettata dalla paura del rischio contagio. Germania e Francia infatti sono le principali creditrici della Grecia e verrebbero colpite in maniera rilevante dalla mancata restituzione del debito. Altri Stati poi, seppure meno esposti, potrebbero subire conseguenze gravi a causa delle loro già difficili situazioni interne, penso in particolare a Portogallo, Spagna e anche Italia. Si tratta comunque di una scelta molto complicata. Un supporto finanziario illimitato, oltre agli elevatissimi costi, comporta il problema dell’azzardo morale: se sono completamente coperto, chi me lo fa fare a imporre misure politicamente impopolari anche se necessarie? Il premio Nobel Paul Krugman, commentando questa situazione, non per niente ha usato la metafora Fukushima: il nocciolo ormai è scoperto».
Anche il debito italiano suscita preoccupazioni: quali sono le prospettive?
«La situazione italiana è abbastanza differente. I mercati e le agenzie di rating esprimono ancora una moderata fiducia nella nostra capacità di ridurre il debito pubblico. Le misure di austerity messe in campo dal ministro Tremonti ormai da qualche anno, se pure non hanno fatto diminuire il debito, hanno impedito una sua crescita fuori controllo. Anche la prossima nomina di Mario Draghi a governatore della Banca centrale europea è un importante segnale in questo senso. È certo però che la situazione va sbloccata e se non si riesce a fare ripartire in tempi brevi il processo di crescita, le prospettive non saranno rosee neanche per noi.
Mantenendo fermo il controllo dei conti è indubbio che il taglio delle spese improduttive, dei costi della politica, della pressione fiscale, la lotta alla corruzione, il sostegno alle imprese innovative e il finanziamento massiccio della ricerca scientifica sono alcune delle strade che dovremmo il più rapidamente possibile intraprendere in maniera decisa. In questo senso le difficoltà interne alla maggioranza di governo sono il sintomo di una indecisione che non può ancora durare a lungo».